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Julius Hans Spiegel. Ballerino e pittore sordomuto

Achille Ricciardi fece un esperimento di danza senza musica al Teatro del Colore, ma egli alla musica sostituì la poesia e fece danzare una ballerina mentre si declamava l’Après Midi d’un Faune di S. Mallarmé. Anche in questo esperimento i ritmi plastici non furono indipendenti, perchè subordinati a quelli della poesia: ma la musica vera e propria non ci fu.
Tale tentativo non fu altro che una esumazione delle danze che i greci eseguivano sugli aggruppamenti delle parole di una poesia. Questa volta gli esumatori non sapevano di esumare e credettero di fare del nuovo; tanto che a questo battesimo fu invitato come padrino adatto altri mai, F.T.Marinetti, lettore che ognun sa mirabile. Però Ateneo, parlando di una danza primitiva, cioè da camera, in uso presso i Greci, asserisce fosse eseguita su parole ritmate, di cui cita il primo verso di gusto anacreontico: Dove, dove sono le rose? Di questa danza, chiamata Anténea, non si posseggono altre notizie.
In altri esperimenti fatti pure da Bragaglia con il ballerino sordomuto Julius Hans Spiegel, avveniva precisamente l’opposto: il pubblico sentiva la musica e il ballerino no. Lo Spiegel suole aggiungere la musica -per lui del tutto inutile- per sventar solo il pregiudizio del pubblico; come anche un poco in considerazione del bisogno -che veramente si avverte anzitutto in merito all’abitudine- di riempire il vuoto del silenzio. Era invece proprio il caso suo, quello di dar quei balli plastici del tutto senza musica. Mai il pubblico, ballando Spiegel, potrebbe pretendere che l’abolizione del ritmo musicale sia una stravaganza. Spiegel è sordo! Ma Spiegel è cocciuto e non ama i rischi. Mentre, d’altra parte, ha qualità così eccellenti, che continuamente il pubblico si domandava se non fosse il ballerino un finto sordo… Infatti le musiche orientali ch’egli ha domandato per le sue danze, sono ritmiche con monotonia diciamo generica; sì che l’accordo plastico entra in ogni caso in quello musicale. Il ridicolo di questa inutile servitù alla musica, si sente alla fine, quando, terminando il pezzo musicale, bisogna avvertirglielo qualche battuta avanti, affinchè egli concluda il suo componimento visivo, che si immobilizzerà a figura di statua poco dopo il vostro cenno, mentre la musica sarà cessata del tutto.
Un altro tentativo veniva condotto dalla Wigman e dalle sue meravigliose allieve, con la sostituzione del gioco ritmico musicale con prestabiliti aggruppamenti di colpi di gong . Le serie di questi ritmi, concertati secondo la ideologia plastica, non erano che punti di partenza del comportamento orchestico; quindi precipitavano e si allentavano, erano più forti o più deboli, secondo richiedesse l’azione danzante che dirigeva lo spettacolo.
Effetti simili ai sopra esposti si ottengono con le nacchere. L’Argentina, danzatrice spagnola, ha sollevato l’entusiasmo dei più elevati intellettuali. Il Giovannetti scriveva: “Quando Argentina, l’incomparabile Antonia, comincia a far giocare le nacchere, ecco la vera rivelazione, ecco il vero miracolo. Le nacchere! quest’odioso gingillo dello spagnolismo manierato, questo insopportabile cro-cro di tutte le false danzatrici, di tutti i falsi musicisti, eccolo improvvisamente, nelle mani di Antonia Mercé, diventare un istrumento musicale d’ una portentosa suggestività.”
La musica successivamente sorta, originò il ritmo acustico dalle già sviluppate movenze del corpo umano, per essere la danza l’arte più antica e spontanea.
Non per nulla si dice che la musica di danza è più naturalistica. La danza, come valutazione plastico-dinamica del tempo creò quindi per prima , il “doppio ritmo” del moto nello spazio, e a tempo: e da essa venne conferito all’arte dei suoni.”
Il più interessante studioso estremista, sostenitore della danza antimusicale, è senza dubbio Alberto Bragaglia, che nelle “Cronache d’attualità” pubblicò anni or sono una serie di saggi su tutta la visività, facendo dipendere il fatto della creazione artistica, genericamente, da una rispondenza dei ritmi vissuti con gli elementi dell’opera d’arte. Limitandosi ad una estetica visiva, per esclusione delle interferenze musicali o letterarie, Alberto Bragaglia avrebbe stabilito che questi ritmi di natura organico- espressiva, cioè fisiopsichici, non sono trasposti dal campo sonoro a quello visuale: ma, viceversa, che è dal dinamismo vitale degli organismi vivi e pulsanti che è tratto il metro orchestico dell’invenzione estetica in generale. Le antichissime cantilene salmodiche ebbero origine dal moto cadenzato della danza di rito, passi, battute: quasi musica naturalistica, preceduta a quella d’invenzione celebrale. Dalla plasticità, cioè, ritmata nello spazio e nel tempo egli ha distinto la diversa materialità delle arti più propiamente plastiche, figurative o di astrazione architettonica; ciò che contrasta con la unificazione, sul terreno teorico ed estetico, di tutte le parti visive.
Su questa unificazione (che già Alberto Bragaglia disse panplastica) egli basa la sua originale veduta delle possibili nuovissime dell’arte viva e fluida della danza, e dei suoi superiori sviluppi.
Una scenografia speciale sorgerà quindi ad illustrare, riecheggiandole, le idee costruttive dell’azione ritmata, e non sarà più soltanto rappresentativa di interni artificiali e di ambienti architettonici, ovvero di paesaggi e visioni di natura, ma -trascendendo dalla figurazione, verso l’assaporamento generalizzato ed astratto dei valori delle due gamme, spaziali plastica e luminoso-cromatica,- potrà produrre creazioni e composizioni di forma e di linee e di colori, che partendo dall’ornamentazione e dalla architettura, si spingeranno verso un purismo assoluto di espressioni.
Secondo questi criteri, si attua una certa inscindibilità dell’insieme ottico, che senza rigide meccanizzazioni, farà meglio corrispondere l’invenzione schematica dei motivi e dei tempi danzanti con il rivestimento visionario totale della’ambiente spaziale e dei giuochi d’illuminazione sotto cui agiscono le figure, che il costumista travestirà.
Il coreografo diviene più che mai un puro plastico, pradone dell’invenzione animata, ed insieme capace di coordinare la traduzione delle proprie ideazioni sensuali o metapsichiche, in organismi viventi e materiali, mobili ed estatici, che si integrano per lo spettacolo, destinato al godimento dell’occhio. Nel suo saggio Alberto Bragaglia ha scritto che la danza senza musica nella concezione intrasigentemente visionaria qui riportata è una necessità fondamentale di rinnovamento per l’arte di Tersicore. Intendo dire che la musica non dovrà essere il pretesto nè lo spunto iniziale dei ritmi figurati, riprodotti dagli esecutori, ma, al contrario, potrà a sua volta -come nelle origini- trarre dalla visione l’estro per un commento delle danze. Giovandoci delle risultanze della recente scenografia teatrale e coreografica -da Gordon Graig e da Bakst e balletto russo, a Ricciardi e marionette di Depero e Teatro degli Indipendenti di Anton Giulio Bragaglia- si potrà pure tentare la effettiva creazione di attrezzerie movimentate ed astraenti, che rafforzino i ritmi danzanti, sviluppandoli in pannelli e costruzioni che trascendono ogni realtà per un’assoluta inventiva estetica. ‘..La confusione tra la Fisica e l’Estetica, -scrive Croce,- ha raggiunto il più alto segno quando si sono immaginate teorie estetiche delle singole arti’; ‘…domandare: quale è il legame tra l’arte e l’espressione estetica’ è vano: ‘le così dette arti non hanno limiti estetici e noi abbiamo mostrato la genesi affatto empirica di quelle partizioni; tutti i volumi di classificazione e sistemi delle arti si potrebbero lasciare senza danno alcuno’; chi fa non si sottrae all’empirismo; ciò è possibile solo al puro pensiero, alla filosofia estetica. E le teoriche artistiche sono appunto intenzioni di fare.[…] Stavolta dunque , gli avanguardisti sostengono che la danza armonizzata con la musica, debba venir sostituita da quella puramente plastica. E’ comunque vero che essi presentano un elegante tema d’arte; ed esso non di rado potrà dar luogo ad interessanti esperimenti ed a belle realizzazioni.”
“La danza e la rivoluzione. Anton Giulio Bragaglia e il Teatro degli Indipendenti”, Luisa Spagna, “In Corso d’Opera”, 2003, Università degli Studi di lecce.
Fonte: grafifoto.com (2006)


Completamente dimenticato il pittore gay tedesco Julius Hans Spiegel (1891-1974) che ebbe clamoroso successo per le sue danze giavanesi ed indù nei teatri d’avanguardia europei negli anni Venti . Nessuno riusciva a capire come facesse… dato che era sordomuto dalla nascita. Si stabilì a Capri dove frequentava ricchi gay internazionali. Ebreo, fu internato dai fascisti in un campo in Calabria nel 1940…ritornò poi a Capri dove visse dell’elemosina dei turisti esibendosi in strada o nei ristoranti, sempre agghindato con sgargianti abiti e maschere orientali ad ogni ora del giorno. Fu soprannominato “Gratis” per il suo vizio di non pagare mai e fu una vera sorpresa scoprire, quando morì ottuagenario, che possedeva una vera fortuna in una banca svizzera…
UN CAPRESE D’ADOZIONE: HANS JULIUS SPIEGEL
Era nato a Berlino il 5 giugno 1891 quel simpatico ometto che sarebbe stato un altro dei personaggi caratteristici di Capri. Aveva frequentato la scuola reale per sordomuti, conseguito la maturità e studiato all’Accademia di Belle Arti di Berlino e di Monaco di Baviera.
Abbandonò poi la pittura per dedicarsi totalmente alla danza, dando vita a una maschera e a balli esotici messi in scena a Berlino, Monaco, in Italia e in altri paesi europei. La danza lo aiutò sempre, sia come professionista sia quando ormai a riposo, ne improvvisava di deliziose per amici- ammiratori che si disobbligavano offrendogli una colazione, un dolce, un cappuccino.
Tutto abbastanza normale, quasi ovvio, se non fosse per un non trascurabile particolare: Hans Julius Spiegel, in seguito a una grava malattia contratta a tre mesi, era diventato sordo, perdendo contemporaneamente la possibilità di esprimersi, di comunicare.
Veramente i particolari erano due: Spiegel era anche ebreo. Tra studi, carriera e sopravvivenza nell’età del tramonto, la sua fu dunque una vita coraggiosa, addirittura strenua, perché egli fu ebreo mentre la persecuzione razziale imperversava in Europa, costringendolo a fuggire dalla Germania.
Allorché il presidente del teatro di Berlino, dove aveva lavorato per cinque anni, lo radiò dall’albo degli artisti, Spiegel liquidò i suoi pochi beni e si trasferì a Capri, che aveva visitato già nel 1924. Il ballerino visse tranquillo nell’isola per tre anni, fino al suo arresto, il 18 giugno 1940.
In occasione del rinnovo del passaporto, il 1 marzo 1939, ai suoi nomi fu aggiunto quello di Israel ed una vistosa J stampigliato in rosso fu posta a evidenziare senza equivoci che il titolare era un ebreo. “Artista pittore”, si legge sul documento, redatto in lingua tedesca: “viso lungo, occhi cerulei, capelli castani, segno particolari: muto”. C’è n’è quanto basta per deprimere quello spirito sensibile già provato da tanti problemi.
Spiegel subì la tragedia del carcere a Napoli, il trasferimento con un carro bestiame e l’internamento in tre diversi campi di concentramento, dall’isola del Gran Sasso a Ferramenti, in Calabria.
Finalmente, nel 1943, venne liberato dagli americani e tornò a Capri, dove si guadagnò da vivere ritraendo gli aviatori del Rest Camp e dipingendo graziose vedute con colori vivaci; queste ultime era solito regalarle a chi certamente l’avrebbe compensato.
Durante il primo soggiorno caprese aveva vissuto presso i canonici regolari lateranensi insediatisi presso la Certosa di San Giacomo. Con il loro aiuto e i loro buoni uffici, si era trasferito per un anno a Roma e, sotto le ali protettive del Vaticano, aveva abbracciato il cattolicesimo. Al ritorno nell’isola alloggiò, a buon mercato, dai Russo a via Castello, i quali lo accolsero pure nella tomba di famiglia.
Nella seconda parte della sua vita caprese cercò di vivere il più possibile senza mettere mano al portafoglio, guadagnandosi l’ovvio soprannome di Gratis. Ricambiava con danze e piroette e battendo i piedi a terra, tutto sempre più faticoso per lui. Ma non aveva l’abitudine di compiangersi e di lamentarsi. Neppure quando i camerieri gli surriscaldavano, per scherzo, la tazza e il cappuccino per farlo scottare: restava sorridente e gentile. E perciò fu sempre unanimemente benvoluto.
Aveva conosciuto a Monaco di Baviera Thomas Mann, Rainer Maria Rilke e molti altri scrittori del tempo; aveva vinto il primo premio al Carnevale di Monaco del 1928. Pure da “espatriato” Gratis si circondò di personaggi di spicco quali Munthe, Grace Fields. Edwin Cerio, Jennifer Jones, Clark Gable e Orson Welles che visitarono, come tanti, la sua casa colma di costumi e di maschere: una collezione importante che lasciò al Museo Civico di Etnologia di Monaco.
Anche nella vita di tutti i giorni portava una specie di maschera: d’inverno il berretto di lana rossa col fiocco, d’estate il cappello di paglia a larghe falde, la grande pipa, la doppia borsa a tracolla con l’albumetto per raccogliere firme e indirizzi, il libro di pratiche religiose e altri oggetti personali.
Era magro e scattante, e gli abiti stretti e colorati gli davano l’aspetto di un burattino o di un pupazzo esotico: un giorno al porto, sbracciandosi a più non posso e saltellando per salutare degli amici che lasciavano l’isola, finì in mare, correndo un serio pericolo perché non sapeva nuotare.
Negli anni Cinquanta fu scelto dalla Carpano per la propaganda del Punt e Mes: “Arbiter elegantiarum nell’isola dell’eleganza” commentano i giornali; nello stesso periodo, Spiegel, tra bionde bevitrici di brandy Cavallino Rosso e macchine di caffè Gaggia, danza con il bel cavallino di panno in una mano e nell’altra la bottiglia da pubblicizzare. La sua caratteristica figura con l’inseparabile pipa ricurva renderà popolari il brandy italiano e la macchina espresso.
Pian piano, le condizioni economiche di Gratis migliorarono; il perseguitato razziale ottenne dalla madre-patria una pensione, mentre i tanti amici gli mandavano regali da tutto il mondo.
Si spense sull’isola amata il 13 ottobre 1974.


Il ballerino sordomuto di Capri. Julius Hans Spiegel nacque a Berlino il 5 giugno 1891.
Era figlio del commerciante Louis Spiegel e di sua moglie Martha, figlia del famoso neurologo e sessuologo ebreo Dr. Magnus Hirschfeld.
Julius sembrava essere un bambino del tutto normale ma, purtroppo, ben presto ci si accorse che era sordo e, quindi, gli era impossibile parlare “normalmente”. Per questo i genitori lo mandarono alla Scuola per non udenti nella Elsaesserstrasse. Con il passare del tempo cominciò a dimostrare una spiccata tendenza per la pittura e la danza.
Il 10 dicembre 1913 fu ammesso come studente all’Accademia Reale per le Arti Figurative di Berlino. I suoi professori furono tra gli altri il Prof. Ehrentraut (disegno), il Prof. Bose (disegno del nudo) ed il Prof. Friedrich (disegno degli antichi).
Esonerato dal servizio militare a causa del suo difetto fisico, studiò a Berlino fino al 1917. Per poco tempo soggiornò, durante questo periodo, anche a Bad Zwischenahn. Qui non solo disegnava ma si preoccupava di rallegrare anche i feriti di guerra con la sua danza.
Dal 1918 Julius Hans Spiegel divenne allievo del Prof. Groeber all’Accademia delle Arti di Monaco di Baviera, non abbandonando, però, lo studio della danza con il maestro Terpis.
A Berlino conobbe un principe indiano, il quale lo introdusse alla danza orientale. L’amico indiano alla sua morte gli lasciò, in eredità, i suoi sontuosi abiti e le sue preziose maschere. Spiegel abbandonò, in seguito, quasi completamente, la pittura esibendosi, soprattutto, nei suoi spettacoli di danze rituali orientali.
Insuperabile fu il suo modo di esprimere la varietà dei sentimenti attraverso la perfezione dei movimenti.
Tra il 1921 ed il 1925 egli si trattenne per lo più a Roma, dove ottenne molti ingaggi per le sue danze esotiche. Danzò anche a Bruxelles, Amsterdam, Vienna, Monaco, Locarno e, naturalmente, nella sua città natale Berlino presso il Cabaret dei Comici.
Nel 1920 Spiegel venne per la prima volta a Capri dove fu subito affascinato dalla straordinaria natura. Trascorsero, però, altri 14 anni prima della usa definitiva sistemazione sull’isola. Scelse quale domicilio la Villa Rubina che era stata la casa della (quasi) Santa Suor Serafina di Dio, al secolo Prudenzia Pisa. Qui egli rallegrava tutti con le sue danze rituali di Giava, Ceylon e della Polinesia, fino a quando una malattia al cuore lo costrinse ad abbandonare la sua passione artistica.
Tra le sue ammiratrici femminili si ricordano Liz Taylor, Lana Turner, Grace Fields, Jennifer Jones e Joan Crawford.
Tutti lo conoscevano nella piazzetta, salotto di Capri, stranieri e isolani. Migliaia e migliaia di persone lo hanno visto a Capri con il rosso berretto a punta, i calzini gialli, le scarpe blu, il gilet rosso, gli amuleti al collo ed alla cintura, il borsellino a maglia, la pipa di creta e le magrissime mani adornate di anelli. Moltissimi lo fotografarono.
Durante la 2° Guerra Mondiale fu deportato dai fascisti in una prigione vicino Napoli, fu però poi liberato. Imprigionato di nuovo dagli americani fu rilasciato perché ritenuto “innocuo”.
In seguito una coppia di tedeschi si occupò di lui e gli fece avere una pensione con la quale riuscì a vivere senza eccessive preoccupazioni.
Ogni mattina gustava al “Gran Caffè” un cappuccino “offerto”. La generosa donatrice ottenne da lui il titolo di “Signora Cappuccino”.
Tuttavia le ultime settimane della sua vita furono difficili.
Un infarto lo costrinse a letto. Una famiglia italiana si prese cura di lui fino alla sua fine.
Per molto tempo amici ed ammiratori visitarono ed abbellirono la sua tomba nel cimitero caprese. Una lapide mostrava a tutti dove era l’ultima dimora di Julius Hans Spiegel. Nel 1986 i resti furono traslatati nella tomba di famiglia dei capresi RUSSO-STRINA nella parte nuova, alta, del cimitero cattolico. Egli lasciò molti dei suoi libri in prima edizione, con dediche personali di Gerhard Hauptmann, Rainer Maria Rilke, Thomas Mann, ad una famiglia tedesca. Le sue preziose maschere ed i suoi abiti orientali li lasciò al Museo Etnografico di Monaco di Baviera. Essi sono là custoditi sotto il nome di “Collezione di Spiegel”, si tratta di 63 pezzi d’esposizione, maschere, saris, sarongs e cheddas.
Caro lettore, ti chiederai come può danzare una persona che non sente. A questo proposito bisogna chiarire una cosa: in occidente la danza è quasi sempre un riflesso della musica, musica e danza sono strettamente correlati. Non è così in Oriente. Qui la danza è espressione dei sentimenti ed il movimento è la parte vitale. Il gong, l’eventuale musica, esistono solamente per dare al movimento un effetto in più. Non danza nata dalla musica, bensì armonia e musica che si esprime e nasce attraverso il movimento e la danza.
I movimenti non sono moltissimi, ma nessuno è senza la sua propria importanza, e la maschera accentra ed attira la concentrazione sui movimenti. Julius Hans Spiegel aveva un marcato senso del ritmo, unito ed un ineguagliabile controllo del proprio corpo. In questo egli fu un fenomeno.
Horst G. Werner, Traduzione di Heidi Tielger

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Ricordi di Julius Hans Spiegel – Il ballerino sordomuto
Con questo articolo vorrei contribuire a risvegliare l’interesse dei lettori per la storia di Capri e dei suoi abitanti
Di Horst G. Werner
Bad Kissingen – Julius Hans Spiegel nacque il 5 luglio 1891 a Berlino, figlio del commerciante Louis Spiegel e di sua moglie Martha, nata Hirschfeld (figlia del noto psichiatra e sessuologo ebraico dr. Magnus Hirschfeld), sembrava essere un bambino “normale”. Ben presto, però, si scoprì che Julius Hans era sordo e dacchè non poteva sentire niente, gli era anche impossibile imparare a parlare normalmente. Per questo motivo i genitori gli fecero frequentare la scuola reale prussiana per sordomuti nella Elsasser Strasse. Con l’andare del tempo egli mostrò un eccezionale talento per l’arte della pittura e della danza ed il 10 ottobre 1913 s’iscrisse all’Accademia Reale delle Belle Arti. Spiegel ebbe come insegnanti il prof. Ehrentraut (disegno), il prof. Bose (nudi) ed il prof. Friederich (antichità). A causa del suo stato di sordomuto non fece il militare e studiò a Berlino fino al 1917. Per breve tempo, durante questo periodo, soggiornò anche a Bad-Zwischenahn, dove non solo dipingeva ma divertiva anche i feriti di guerra con le sue danze. Nel 1918, invece, fu allievo del prof. Groeber dell’Accademia delle Belle Arti a Monaco, mentre continuava a coltivare l’arte della danza. Infatti, sempre a Monaco, ebbe come maestro di danza Herpes, che, insieme ad Harald Kreuzberg, di fama internazionale, gli insegnò l’arte.
A Berlino, Spiegel, conobbe un principe indiano, il quale lo introdusse nell’arte della danza asiatica. Negli anni seguenti accompagnò lo stesso principe dappertutto. A Parigi l’amico morì e gli lasciò tutti i suoi tesori, maschere ed abiti cerimoniali. A questo punto Spiegel lasciò la pittura per perfezionarsi in danze asiatiche e divenne insuperabile in espressione ed accuratezza dei movimenti, nel riflesso dei sensi e sentimenti espressi.
Tra il 1921 ed il 1925 si trovò a Roma dove aveva tanti impegni per sue danze esotiche, come anche a Bruxelles, Amsterdam, Wien, Monaco, Locarno e naturalmente nella sua città nativa Berlino, dove però recitava nel cabaret per comici.
Spiegel venne per la prima volta a Capri nel 1920: la bellezza del paesaggio lo affascinava, ma dovettero passare 14 anni per farcelo ritornare … per rimanerci per sempre. Sull’isola, come sua dimora, scelse villa Rubina, la casa nativa di suor Serafina di Dio, nata Prudenzia Pisa. Qui viveva e rallegrava la gente con le sue danze sacre dei templi javanesi, balinesi e ceylonesi, finché una malattia al cuore non lo costrinse a rinunciare alla sua arte. Tra i suoi ammiratori si contavano più donne che uomini, dive come Liz Taylor, Lana Turner, Grace Fields, Jennifer Jones e Joan Crawford. Era conosciuto in piazzetta il “salottino” di Capri da turisti e isolani.
Dopo la morte del pescatore Costanzo Spadaio ne prese il posto, vestendosi anche quotidianamente con abiti di colori vivaci ed estremamente stravaganti. Chi non ricorda quell’ometto con la “zipfelmutze” rossa, con i calzini gialli, le scarpe blu, il gilet rosso, con tanti amuleti al collo ed alla cinta e le dita magre piene di anelli, con il suo sacchetto di stoffa e la pipa di terracotta? In migliaia lo hanno visto, conosciuto e fotografato.
Durante la seconda guerra mondiale fu portato dagli italiani nel lager vicino a Napoli, più tardi liberato e nuovamente arrestato dagli americani, i quali poi lo rilasciarono, definendolo “innocuo”. In questo periodo non se la passò molto bene, una coppia di tedeschi si prese cura di lui e gli fece avere una pensione di risarcimento che gli consentì di vivere, in seguito, senza pensieri. Ma anche lui aveva un cuore per i poveri e così ogni mattina, in piazza, metteva in mano ad una poveretta una scatola di fiammiferi piena di soldini. Quotidianamente, poi, al Gran Caffè, si godeva il suo cappuccino e nominava la sua benefattrice, “signora cappuccino”.
Le sue ultime settimane di vita furono molto dure: un ictus lo aveva costretto a letto. Una famiglia caprese si era presa cura di lui fino alla sua ultima ora. Julius Hans Spiegel è sepolto nel cimitero cattolico e per molti anni, amici ed ammiratori, si occuparono della sua tomba, sulla quale una lapide con il suo nome mostrava la sua ultima dimora. Nel 1986, però, è stato sistemato nella tomba di famiglia dei suoi amici Russo-Strina. La tomba si trova nella parte nuova del cimitero cattolico.
Il suo lascito di libri preziosi (prime edizioni con dediche personali degli autori come per esempio Gerhart Hauptmann, Rainer Maria Rilke, Thomas Mann ed altri) è finito nelle biblioteche di due note famiglie tedesche. Ha lasciato, invece, le sue preziose maschere asiatiche, le tonache ad un museo a Monaco, dove si possono ammirare sotto il nome “collezione Spiegel”.
Cari lettori, a questo punto, vi chiederete come può ballare un uomo sordo che non può sentire la musica? Nell’arte del ballo occidentale, il ballo è quasi sempre una dimostrazione della musica suonata: ballo e musica sono legati inseparabilmente. Questo non è il caso dei popoli esotici: il ballo ed il movimento sono principali, il gong, l’evento musica aumenta l’effetto. Non ballo attraverso la musica ma attraverso il ballo nato accompagnamento. I movimenti sono assai pochi ma nessuno è senza significato; la maschera poi aumenta la concentrazione sui gesti. Julius Hans Spiegel aveva il senso del ritmo, legato ad un indescrivibile dominio del suo corpo. Egli era un fenomeno.
* Un particolare ringraziamento alla signora Brigitte Desiderio che ha curato la traduzione dell’articolo di Horst G. Werner dal tedesco.
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Sordo come una campana e muto come un pesce «Gratis» Ovvero Julius Hans Siegel, di Manfredi Pagano
CAPRI – Sul numero del 23 agosto scorso pubblicammo l’articolo “Il ballerino sordomuto” dello storico e giornalista tedesco Hans G. Werner, concittadino dello Spiegel ed amante, anch’egli, della nostra isola. Oggi, invece, offriamo ai nostri lettori, un altro inedito ritratto dell’estroverso ballerino tedesco, Hans Julius Spiegel , semplicemente e familiarmente “Gratis” per noi del posto. Questo non per essere ripetitivi ma per arricchire di particolari il ricordo dell’ultimo personaggio di una Capri che ormai non esiste più. Particolari colti da uno del posto, che ha avuto la fortuna di conoscerlo da vicino ed ammirare la sua collezione di maschere polinesiane, di cui era gelosissimo.
“Gratis” è morto verso la metà degli anni settanta insieme ad un pezzetto della storia di Capri intessuta di mito e leggenda. Vi era giunto nel 1924 per trascorrere un breve periodo di riposo e vi rimase invece tutta la vita.
Julius Hans Spiegel era nato a Berlino; sordomuto dalla nascita frequentò una scuola di subnormali prima di accedere all’Accademia di Belle Arti di Monaco e poi di Parigi per conseguire il diploma di danza classica. Per la sua menomazione doveva possedere una notevole predisposizione naturale ed un istinto eccezionale che gli consentivano di seguire il ritmo non avendo la possibilità di udire la musica. Nel 1922 venne in Italia chiamato da Martinetti e lavorò in alcuni teatri di Milano e di Roma e poi per Antogiulio Bragaglia al teatro degli Indipendenti.
Fu proprio in quel periodo che decise di concedersi una settimana di vacanza a Capri. Vi rimase invece tutta la vita.
In un primo tempo sbarcò il lunario dipingendo quadretti che vendeva ai turisti, poi mise da parte i pennelli e scoprì le gioie del dolce far niente.
Vestiva in maniera originalissima: una maglietta celeste o rossa, un paio di pantaloni di velluto giallo, due borse di panno pendevano dalla spalla, un fallo d’avorio come amuleto al collo col quale dispensava fortuna, una pipa in bocca, un paio di scarpe di corda capresi ed un fez con fiocco multicolore in testa che, nei periodi estivi, alternava con un ampio copricapo messicano. Conciato così era ricercatissimo dai turisti per immortalare un’istantanea di gruppo con lo sfondo della piazzetta. In mezzo secolo le sue foto hanno coperto l’intero globo.
Viveva della generosità degli ospiti di Capri ed era riuscito a conquistare pure le simpatie dei capresi. Riusciva a dire: «Caro amico!» o «Gratis!». Di qui l’appellativo che lo rese famoso. Si nutriva di cappuccini e cornetti che gli venivano offerti nei bar della piazzetta e che lui ordinava pagando con un sorriso ed esclamando: «Gratis!».
Anch’io ero per lui: «Caro amico!» e, dopo un numero abbastanza consistente di cappuccini, riuscii nell’intento di farmi invitare a casa sua per visionare la collezione di maschere polinesiane che possedeva.
Fu una conquista non facile perché Spiegel era geloso di mostrare quelle maschere e a chi gli faceva tale richiesta fingeva di non capire appellandosi alla sua sordità. Io fui più fortunato anche perché allora ero giovanissimo e Spiegel, verso i giovani, non riusciva a nascondere certe particolari attenzioni. Alla mia esplicita richiesta rispose subito con un cenno della testa ed un sorriso malizioso. Mi diede appuntamento per il primo pomeriggio. Io, a scanso di malintesi, mi feci accompagnare da un amico fotografo. Nell’aprire l’uscio “Gratis” manifestò un certo disappunto nel vedere che non ero solo. Ebbe un’esitazione, rimase impacciato sull’uscio, poi sorrise e ci fece entrare. Quelle maschere bellissime le aveva raccolte in Polinesia dove in gioventù si era recato per studiare le movenze di danza di quei popoli. Con un pizzico d’attenzione era facile comprenderlo anche perché si esprimeva con l’ausilio di una mimica magistrale. Della sua menomazione non pochi avanzavano dubbi, ma chi dubitava era in malafede. Innamoratissimo di Capri nell’arco del suo lunghissimo soggiorno aveva stretto amicizia con Rilke, Thomas Mann, Munthe, Malaparte. Durante il Fascismo proprio la fitta corrispondenza intercorsa con Mann misero in allerta le autorità di regime per cui su di lui cadde il sospetto che non fosse sordomuto e che potesse addirittura essere una spia degli inglesi. Questo sospetto gli costò l’internamento in Calabria. Misero in cella con lui un falso sordomuto che, dopo aver conquistato la sua fiducia, disse di non essere sordomuto ma di servirsi dell’espediente per combattere il Fascismo. Il povero Spiegel raccolse la confessione ma continuò invece a dire che lui era effettivamente nato privo dell’udito e della parola.
Fu rimesso in libertà grazie agli interventi di Axel Munthe presso Mussolini ed alle pressioni di Edda Ciano. Fece ritorno a Capri ma la tregua fu di breve durata perché a covare sospetti ci si misero i tedeschi. Lo rimisero in galera e mancò poco che non lo sottoponessero a tortura per farlo parlare e confessare di nascondere apparecchiature trasmittenti. Si era nel 1943 e lo sbarco degli alleati rimise Spiegel in libertà. I guai non erano però finiti perché pure gli americani nutrirono il sospetto che il sordomuto potesse essere un agente segreto nazista. Ricondotto in una cella di sicurezza a Napoli, gli americani lo sottoposero a mille tranelli per coglierlo in fallo. Gli facevano esplodere petardi alle spalle e lo facevano inseguire da cani latranti, senza tuttavia cavare un ragno dal buco.
Gli americani desistettero e lo affidarono agli inglesi. Furono quest’ultimi che dopo averlo sottoposto ai controlli di un’apposita commissione di medici specialisti fatti venire da Londra si convinsero che il povero Julius Hans Spiegel era per davvero sordo come una campana e muto come un pesce.
Con la fine della guerra potè ritornare a Capri dove riprese il suo abituale costume multicolore e continuò a sbarcare il lunario fra cappuccini, cornetti, sorrisi, fotografie e dispensa di fortuna, all’insegna ovviamente del gratis sia nel dare che nel ricevere, senza mostrare rancore alcuno per chicchessia e dimenticando le angherie subite da autorità fasciste, poi naziste, dagli americani della Cia e dagli inglesi dello Intelligence Service.
Fonte:  triangolosilenzioso.it nw068 (2006)


 

 Newsletter della Storia dei Sordi n.68 del 5 luglio 2006

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