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Il pollaio digitale (Newsletter dell Storia dei Sordi n.738 del 6 novembre 2009)

Il pollaio digitale di Enrico Dolza

I bambini nati e cresciuti in piena rivoluzione digitale portano con sé qualcosa di profondamente diverso rispetto a chi è nato e cresciuto prima di quella rivoluzione: secondo gli esperti, dall’anno 2000 circa in poi il genere umano ha subito un’ulteriore evoluzione, dopo l’Homo sapiens sapiens è venuta la volta dell’Homo sapiens digitale,  figlio di Internet e della multimedialità, dotato di caratteristiche proprie.

Stiamo parlando dei cosi detti “nativi digitali”, bambini che oggi hanno 5 o 6 anni e che sono cresciuti con l’elettronica, con la quale hanno una dimestichezza assolutamente naturale: ancora alla scuola materna e senza saper leggere e scrivere sanno orientarsi benissimo in un desktop e decrittare in modo preciso le icone per entrare nei programmi dei giochi che gli interessano anche su internet.

L’uso di vari strumenti tecnologici fin da bambini attiva infatti aree cerebrali differenti e predispone a svelare senza fatica i segreti delle strumentazioni più high-tech. (Tonino Cantelmi, psichiatra, Università Gregoriana Roma). Diventano bambini “multitasking” cioè capaci di usare contemporaneamente più mezzi tecnologici, ma anche bambini con caratteristiche psicologiche inedite: capaci di sintetizzare le emozioni con un’icona, ma con il rischio, sempre secondo il dott. Cantelmi,  di essere più bravi a rappresentarle che a viverle.

Ai “nativi digitali” si oppone il termine di “migranti digitali” cioè coloro che sono nati e cresciuti nell’epoca precedente e hanno adottato solo in seguito le tecnologie.

Da cosa si riconoscono? Ad esempio da come chiamano gli strumenti: un nativo digitale parlerà della sua nuova macchina fotografica, mentre un immigrato digitale parlerà della sua nuova macchina fotografica digitale; o all’aeroporto i pre-digitali stanno diligentemente in coda in attesa della hostess, i nativi  invece vanno direttamente al check-in automatico.

L’universo digitale sta modificando molti aspetti della nostra organizzazione sociale: si pensi alle modalità di aggregazione: dove un tempo si faceva conoscenza in piazza o al bar dell’angolo, oggi si usa Facebook e ci si mette in mostra nei blog. Secondo alcuni si creeranno sempre maggiori ostacoli alla comunicazione tra nativi analogici e nativi digitali.

Ma sarà davvero così? Non tutti sono d’accordo sul fatto che i bambini ed i giovani (che sono per la loro età nativi digitali) abbiano una maggior dimestichezza con la tecnologia a differenza degli adulti che sarebbero più maldestri. Si deve giustamente ricordare che “l’universo digitale” è stato creato dagli immigrati digitali. Insomma i nativi digitali esistono, ma forse c’è qualcuno che è più nativo di loro!

Certo la rivoluzione digitale impone una rinnovata attenzione alle strategie di apprendimento dei bambini di oggi, che sono radicalmente diverse da quelle che abbiamo conosciuto attraverso la mediazione del classico libro di testo. Davanti a questa rivoluzione, spesso i metodi di insegnamento delle nostre scuole sono gli stessi di sempre. Gianni Degli Antoni (Università Statale di Milano) che guarda da vicino i nativi digitali, osserva che sembra che non vogliano imparare, che non abbiamo stimoli, che davanti alla nostra scuola restino indifferenti e annoiati. Cosa fare? Degli Antoni propone ad esempio: «…Insegnare loro coinvolgendoli nel loro terreno. Inutile far loro comprare costosi volumi di Storia, bisogna far scrivere a loro stessi la Storia, sollecitandoli ad andare a trovare le fonti su Internet. Sbaglieranno anche, ma è l’unico modo per far loro costruire un pensiero critico».

La nuova sapienza digitale ci impone un ripensamento della funzione docente, una nuova sfida in ambito educativo. Paradossalmente toccherà proprio agli immigrati digitali fornire le giuste chiavi di accesso al mondo delle persone nuove.
Il problema non è solo quello di usare a scuola computer e tecnologie: si tratta di entrare in contatto con una mente che si è strutturata in modo diverso. Bambini che sanno fare e pensare con strategìe nuove, ma forse sono meno abituati a vivere e sperimentare emozioni, scoperte, sensazioni e conoscenze…e le parole li annoiano (come una volta).

Gli insegnanti sono chiamati a utilizzare metodi didattici adeguati alle capacità nuove e itinerari di proposta che accompagnino i bambini e i ragazzi alla scoperta di sentimenti, sensazioni, osservazioni del mondo reale e delle parole scritte, secondo le loro modalità di conoscenza.

E le persone  sorde? Cosa succede loro in questo nuovo mondo digitale?

Chi ha raggiunto la sordità in età adulta ha spesso un notevole svantaggio, se non ha  l’abitudine di utilizzare tutte le possibilità di informazione e  comunicazione per vie tecnologiche.

I giovani sordi invece, integrati nella nostra società, non sono affatto estranei  alle dinamiche che incidono sulla realtà di tutti. Per loro la rivoluzione digitale ha significato più facilità a comunicare con gli altri, a cominciare dall’uso del cellulare per informazioni e messaggi. Infatti proprio la tecnologia, che può essere rarefazione di interazioni reali, per loro accorcia le distanze: i sordi oggi si conoscono tra loro via web-chat e cam e usano diffusamente messenger;  su Facebook ci sono innumerevoli gruppi di sordi che esprimono vari  orientamenti, in contatto tra loro anche con la lingua dei segni.

Se nell’Italia di un tempo furono gli Istituti a favorire la cultura sorda attraverso la convivenza forzata durante l’infanzia  e l’adolescenza di ragazzi e ragazze provenienti da luoghi lontani, oggi quel ruolo è della chat. Una nuova forma di condivisione e di conoscenze che ben si adatta alla dispersione territoriale dei sordi, i quali da sempre ricercano luoghi di aggregazione tra loro.

Spesso affamati di relazioni vere, di rapporti alla pari, finiscono col subire fortemente il fascino di uno strumento che, tra i pochi, gli consente di relazionarsi in ogni dove  con forme e modi molto più simili a quelle che osservano tra i loro compagni udenti.

C’è da chiedersi se con questo la comunicazione stia diventando davvero più ampia, o se non rinnovi la chiusura al mondo di tutti.

Le tecnologie possono essere poi anche una buona opportunità di lavoro per i sordi.

Per persone sorde competenti e qualificate il web diventa fonte di maggiore sicurezza, esempio di una uguaglianza sempre ricercata e forse non sempre compiutamente trovata. Dietro un PC  si evita di non farsi capire, e se non si capisce subito si ha il tempo di riflettere sulla lingua e di famigliarizzarsi con il messaggio. Si ha l’occasione di  entrare e lavorare in un mondo di persone, udenti o sorde che siano, che prediligono una e-mail ad una telefonata e la mediazione delle tecnologie a distanza.

Per gli insegnanti e gli educatori che si occupano di bambini e ragazzi con difficoltà uditive, è vantaggioso un itinerario di riflessione e continua innovazione di metodi e strategie per facilitare l’apprendimento, mentre resta essenziale per i ragazzi sordi l’acquisizione della lingua italiana, base necessaria per ogni genere di comunicazione.

* cfr.  Maria Rita Parsi – Tonino Cantelmi – Francesca Orlando
L’immaginario prigioniero
Come educare i nostri figli a un uso creativo  e responsabile
delle nuove tecnologie
Oscar Mondadori, 2009

* cfr. Derrick De Kerchowe
Architettura dell’intelligenza

Fonte: fondazionegualandi.it – nw738


Newsletter dell Storia dei Sordi n.738 del 6 novembre 2009

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