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Luciana Littizzetto e i Sordi

Luciana Littizzetto: «Li risolvo io i guai della scuola italiana»
di Andrea Di Quarto

Luciana Littizzetto è tornata in cattedra dopo più di 20 anni. Molto prima di diventare la fustigatrice di «Che tempo che fa», scrittrice da tre milioni di copie e attrice apprezzata, Luciana si era affacciata al mondo del lavoro come insegnante precaria nelle scuole medie e superiori della periferia torinese. Luciana ora interpreta l’insegnante di lettere di un immaginario liceo torinese (il «Caravaggio») nella fiction «Fuori Classe», che ha debuttato domenica su Raiuno con ascolti record. Scritta, tra gli altri, da Federico Starnone, figlio del Domenico Starnone autore di libri come «Ex cathedra», «Fuori registro» e «Sottobanco» che già avevano ispirato il film «La scuola» di Daniele Luchetti, la fiction schiera anche Neri Marcorè, che interpreta l’ex marito farfallone della Littizzetto.

«Compagni di scuola», «I liceali», «Provaci ancora prof»: Luciana, la fiction torna per l’ennesima volta a occuparsi di scuola.
«Ammetto che l’argomento non è originalissimo, però questa volta il punto di vista è decisamente diverso. Qui il focus è proprio sulla scuola pubblica, che è la vera protagonista della storia, con tutte le esistenze che le si muovono dentro, a cominciare da quella della protagonista. Che si divide fra l’attività di insegnante e una vita privata non facile, con un marito che l’ha lasciata per una donna più giovane e un figlio adolescente con il quale il rapporto non è idilliaco».

Quello dell’insegnante per lei è un ruolo ricorrente: lo ha già interpretato al cinema («Se devo essere sincera» del 2004) e soprattutto nella vita, avendo insegnato per nove anni.
«Già, diciamo che è una parte che ho studiato molto bene».

Che ricordo ha di quegli anni?
«Bello. Insegnavo sia musica alle medie, sia lettere alle superiori. Scuole di periferia, complicate. Per me, giovanissima, che avevo studiato dalle suore, all’inizio fu uno shock. Chiedevo a un ragazzino se avesse portato il flauto e quello mi rispondeva con un’allusione sconcia. O più semplicemente alle mie domande spesso rispondevano “ma che m… vuoi?”».

Detto così sembra un incubo.
«E invece no, perché, a dispetto delle difficoltà enormi, c’erano professori che credevano nel loro lavoro e accettavano la sfida. Ho un ricordo bellissimo anche di quando ho insegnato italiano in una scuola per audiolesi (Fondazione Istituto Sordi di Torino, Pianezza, n.d.r.). Inizialmente credevo fosse facile, perché avevo solo otto alunni, invece ho conosciuto il dramma di questo handicap, spesso sottovalutato: una fatica immane ma gratificante, che mi ha insegnato molto».

Era un’insegnante severa o già allora la buttava sul ridere?
«All’inizio ero Madre Teresa, poi sono diventata una vera carogna. In classe devi essere autorevole senza diventare autoritaria. Sembra una sottile sfumatura, invece la differenza è fondamentale».

Allora scriveva su «Gioventù operaia» che «la scuola è un ospedale dove si cura la gente sana e agli ammalati si assesta una botta in testa». Lo pensa ancora?
«Credo che dipenda molto dai professori. Alcuni sono fantastici, altri decisamente meno. E poi c’è anche un grande disinteresse da parte degli allievi. Vivono in un mondo che forse va troppo veloce e parla un altro linguaggio rispetto alla scuola».

Foto da Ufficio Stampa RAI

Da allieva invece com’era?
«Una casinista. Ma serviva poco per esserlo, studiavo dalle suore. In generale, però, mi piaceva. A parte fisica e matematica, di cui non ho mai capito un granché».

Questa serie è anche la sua prima esperienza lunga sul set.
«Una galera, non so come facciano i “Cesaroni”. Io sono una da “cotto e mangiato”, alla Parodi. Immaginatevi tutti questi mesi sul set. Oltretutto giravamo le scene invernali quando c’erano 40 gradi e quelle estive quando si moriva dal freddo…».

Di tanto in tanto le muovono l’accusa di essere volgare.
«Un po’ hanno ragione. Però la mia volgarità non è mai gratuita, ma sempre costruita e funzionale al “pezzo”. Non è che in giro si senta la gente dire “perdinci” o “accipicchia”. Inoltre, e non è per cercare giustificazioni, molte delle cose che vedo in tv sono ben più volgari delle mie. E poi mettetevi nei panni di noi comici: di politica non puoi parlare altrimenti ti querelano, di religione neppure altrimenti scoppia un guaio, di temi sociali d’attualità idem. Alla fine ti restano solo il Walter e la Iolanda (così Luciana ha da tempo ribattezzato gli organi sessuali maschile e femminile, ndr)».

Lei è diplomata al Conservatorio in pianoforte e anche Checco Zalone è un pianista. Ma poi finite tutti a fare i comici?
«Si vede che è lo sbocco per i pianisti disoccupati. Ma fra noi non c’è paragone: lui è un compositore, io strimpello. L’ho visto al cinema e lo trovo bravissimo. E anche lui non è poi così delicato nel linguaggio. Ma non credo che la fila per vedere il suo film sia per le parolacce, ma perché fa semplicemente cappottare dal ridere».

Fonte: sorrisi.com


Luciana Littizzetto sale in cattedra. Intervista esclusiva

Si chiama Isa Passamaglia. Un cognome che è tutto un programma perché fa pensare a una routine grigia, al faticoso mestiere di una Penelope negletta che si ostina a tessere ciò che altri distruggono. È proprio un’ oscura eroina la professoressa Isa Passamaglia, interpretata da Luciana Littizzetto, che nel serial Fuoriclasse, prodotto dalla Rai e da Beppe Caschetto (6 puntate su Rai 1, la prima, domenica scorsa con un boom di ascolti: quasi 8 milioni di spettatori e oltre il 27 per cento di share) diventa l’emblema della scuola che non vuole rinunciare alla sua funzione educativa. «Se sui tetti si arrampicano ricercatori che non hanno proprio la faccia di Bakunin, ma sembrano pretini, vuol dire che la situazione è disastrata», dice l’attrice e scrittrice. Siamo al collasso? Non ancora. Nonostante la contestata riforma Gelmini e il taglio di risorse destinate all’istruzione e alla cultura, con i rotoli di carta igienica portati da casa e con tante ore di studio perse per le agitazioni degli studenti, di sicuro la sfangheremo, per il rotto della cuffia.
Grazie alla buona volontà delle tante Passamaglia d’Italia, che finalmente si sono aggiudicate la prima serata dell’ammiraglia Rai.

DOCENTI INFATICABILI
Maria Star, come tu chiami la Gelmini dalla postazione di Che tempo che fa, promuoverebbe la Passamaglia?
«Sicuro. Le darebbe pure l’aumento di merito, visto che la poveretta non si risparmia e dalla mattina alla sera sta appresso ai suoi ragazzi. Ma io trovo questa questione dei professori meritevoli assurda. Perché ognuno deve far bene il proprio lavoro e se si crede nella scuola bisogna investirci globalmente, pagare adeguatamente gli insegnanti, garantirsi strutture, laboratori, edifici idonei…».
Ma siamo in crisi.
«Che mi dici? Toh, se n’è accorto anche Tremonti. Io parlo da persona comune, i miei giudizi sono personali. Penso anche che qualunque ministro abbia messo mano alla questione della scuola e dell’università è sempre stato ridotto alla gogna. Però se c’è un movimento così vasto di protesta, che stringe insieme studenti e professori, bisogna pure dare ascolto ai segnali di disagio…».
Lo ha fatto il presidente Napolitano, ricevendo gli studenti e augurandosi che nei decreti attuativi della riforma Gelmini si risolvano criticità come le borse di studio su base territoriale o il sistema di immissione nei ruoli dei precari.
«Il presidente Napolitano è saggio e dovrebbe essere preso come esempio dell’impegno a mediare. Lo dico da madre. Coi figli è più facile dire no, basta gridare. Mediare è tanto più difficile e tanto più utile».
Com’è la tua professoressa Passamaglia?
«Una che rispecchia le donne di adesso, sempre trafelata, tra la scuola e la casa. Una donna multitasche, dico io. Il marito dentista, interpretato da Neri Marcorè, l’ha lasciata piena di debiti per spassarsela con l’infermiera. Ha le sue gatte da pelare con il figlio adolescente Michele, interpretato da Lorenzo Vavassori. Ma non si tira indietro, a scuola ci mette l’anima. Come del resto dovrebbero fare tutti i professori…».
Dovrebbero? E perché, non lo fanno?
«Perché non tutti sono capaci di farsi ascoltare. Ci sono studiosi molto stimabili che però non hanno presa sui ragazzi, non sanno come far arrivare loro la propria voce. Oggi gli alunni sono bombardati da un flusso di informazioni continuo che arriva da Internet e che li vede passivi, acquiescenti: Facebook, Google, e l’iPad e l’iPhone. Ma è solo il contatto umano con il professore, con la sua voce, con il suo bagaglio di esperienza e di sapere, che nutre la coscienza, forma il cittadino. E il professore deve essere un po’ attore nel presentare i suoi argomenti, nel catturare l’attenzione. Sai qual è la cosa più brutta?».
No.
«Quei professori rinunciatari che decidono di esistere per quel piccolo capannello che si forma intorno alla cattedra e lasciano in fondo alla classe a rumoreggiare gli altri, quelli che disturbano. Ma un professore non può mai dare per perso, a priori, un ragazzo. Se un insegnante non sa catturare l’attenzione è sua responsabilità».
Questa è musica per le orecchie di Maria Star!
«Io non critico per principio il ministro della Pubblica Istruzione e so che ci sono anche cose buone nella riforma. La Gelmini ha la faccia da professoressa, ma non credo che l’abbia mai fatto. Dovrebbe mettersi nei panni di una qualsiasi Passamaglia, dovrebbe provare davvero che cosa vuol dire fare la professoressa tutti i giorni in una scuola sempre più povera».
Tu l’hai fatto, vero?
«Sì, dai 18 ai 28 anni. Ho sostenuto anche il concorso, che ho vinto, per la cattedra di educazione musicale. Ma poi, da stonata con la testa fra le nuvole, non presentai i documenti necessari e non sono mai entrata di ruolo. Per quattro anni ho insegnato in una scuola della periferia torinese, con colleghi motivati: è stata un’esperienza bellissima. Ancora oggi mi chiamano a casa alcuni ex alunni. Poi ho incominciato un poco a peregrinare e mi è capitato qualcosa di umanamente straordinario».
Dimmi, sono curiosa.
«Anche allora c’erano i tagli e mi assegnarono come insegnante di materie letterarie a una classe di otto audiolesi. Non avevano più le risorse per un professore specializzato».

VOCABOLARIO SUI PIEDI
Come hai fatto?
«Mi sono arrangiata. Ho dovuto apprendere in fretta il linguaggio dei segni e con il sostegno di una logopedista cercavo di fare in modo che i ragazzi decifrassero i movimenti delle mie labbra. Me la sono cavata con la mimica della futura attrice. Si pensa che la cecità sia l’inferno più brutto, ma anche la sordità è terribile, condanna al solipsismo. Finché un giorno mi casca un pesante vocabolario e vedo che i ragazzi chinano gli occhi verso il basso…».
Ma, scusa, non erano sordi?
«Appunto. Mi sono incavolata. “Allora siete degli imbroglioni” li ho rimproverati. Poi ho capito che erano stati allertati dalla vibrazione del vecchio pavimento. E allora ho cominciato a fare dei piccoli dettati ritmici sbattendo il piede per terra con forza. E loro erano contenti: si avvicinavano, in qualche modo, all’armonia della musica. E io osavo, mostravo il pentagramma… una gioia immensa».
Nella fiction non ci sono solo professori appassionati come Luciana Littizzetto-Isa Passamaglia.
«No. Una scuola è un microcosmo di varia umanità e allora ecco il professore incarognito (Roberto Citran) che ti contrasta, quello che s’innamora ingenuamente di te (Fausto Sciarabba), ecco il giovane alle prime armi (Andrea Bosca), l’arido (Nini Bruschetta). C’è la collega a un passo dalla pensione (Gisella Burinato), la timida (Giorgia Cardaci), la carina (Fabrizia Sacchi). È bello il personaggio della preside, interpretato da Mariella Valentini, suora col velo, che esercita laicamente il suo mandato. Nelle scuole italiane ci sono anche suore sensibili e capaci».
Questo dalla Littizzetto proprio non me l’aspettavo. Alla fine Maria Star ti prende come vice.
«Io ho studiato dalle suore e non mi sento di trinciare giudizi su una materia così complessa come la scuola, mi sento solo di dire che proprio perché la materia è complessa ci vorrebbe la concertazione, dovrebbero essere sentite tutte le parti in causa. Speriamo di essere ancora in tempo, la riforma non è ancora entrata a regime».
Ma come madre affidataria di due adolescenti hai dovuto pur prendere le tue decisioni. Come ti sei regolata?
«I ragazzi sono sempre andati alla scuola pubblica, fin quando Giordan non ha cominciato a dare segni di irrequietezza. Che vuoi, ha 13 anni. Quando ho visto che metteva la barba m’ha preso un colpo. La voce l’ha cambiata e pare una vuvuzela. È molto carino, ha la faccia da rubacuori. Insomma in classe dava fastidio, parlava per attirare l’attenzione. L’ho dovuto spostare in una scuola privata dove lo seguono per più tempo. Suona la chitarra, coltiva la sua parte artistica. Vanessa che ha 16 anni ed è più riservata e timida è rimasta alla scuola pubblica».
A contatto col movimento studentesco?
«Sì ed è un bene, perché anche se può perdere ore di studio maturerà più in fretta. A me che stavo dalle suore è mancato tanto il rapporto con il movimento. In fondo oggi, nello stagno in cui siamo, dagli studenti ci arriva un segnale di vitalità».
La professoressa Littizzetto quali politici promuove e quali boccia?
«Li rimando tutti. Sono fallite le coalizioni disomogenee fatte di topi, gatti, furetti. Se si torna a votare sempre con questi qui non cambia niente. E intanto la gente sta sempre peggio e nel mondo piovono merli».
Torniamo a te. Davide, il tuo compagno, che fa?
«Mette la spesa dentro il frigo».
Antonella Amendola Fonte: oggi.it
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«La storia è testimonio dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita» (Cicerone)
«La storia non è utile perché in essa si legge il passato, ma perché vi si legge l’avvenire» (M.D’Azeglio)
«Bisogna ricordare il “passato” per costruire bene il “futuro”» (V.Ieralla)
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“Storia dei Sordi. Di Tutto e di Tutti circa il mondo della Sordità”, ideato, fondato e diretto da Franco Zatini

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