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La sordità e il linguaggio: Si dice

La sordità e il linguaggio: Si dice “sordo” o “sordomuto?”. L’uso molto frequente del termine “sordomuto” per riferirsi a persone sorde ha generato molti equivoci. Il termine infatti porta a confondere la conseguenza con la causa: le persone sorde in realtà hanno un apparato fono-articolatorio perfettamente integro, tuttavia possono diventare anche mute a causa della loro sordità, soprattutto  nel caso in cui perdono l’udito entro i 2 anni o nascono sorde. Dal 2006 tuttavia, grazie alla legge 95, questo termine obsoleto è stato abbandonato e sostituito con il termine “sordo”, precisando se la comparsa del deficit precede o segue l’acquisizione del linguaggio: si dice allora sordo “pre-linguistico” o postlinguistico.

L’Organizzazione Mondiale della sanità ha definito la sordità un’ “acuità uditiva tale da non consentire all’individuo di apprendere una lingua verbale, di partecipare alle attività tipiche della sua età, di trarre profitto dall’insegnamento scolastico” (2001)

Ciò che è importante precisare però è che perfettamente integra è anche la “facoltà” di linguaggio delle persone sorde, ovvero la capacità che permette ad ogni neonato di acquisire la lingua dell’ambiente a cui viene esposto. Il fatto che il neonato sordo non ha un feedback acustico delle sue produzioni vocali spontanee né può udire la lingua parlata intorno a sé, limitano e possono compromettere gravemente lo svilupparsi della sua facoltà di linguaggio, nonostante essa abbia una base biologica. E’ necessario infatti che tale facoltà si esplichi in un determinato contesto linguistico ed entro un determinato periodo critico.

Abbiamo l’esperienza documentata dei cosiddetti “bambini lupo”, bambini che per motivi di abbandono, reclusione o emarginazione non sono cresciuti all’interno di una comunità umana. Qualora il bambino non viene esposto in un ambiente linguistico entro il periodo critico, nonostante una successiva rieducazione, anche intensiva, può acquisire abilità, ma i progressi difficilmente portano ad una vera padronanza del linguaggio, che rimane relativamente incompiuto.

Naturalmente i bambini sordi non vivono in uno stato di isolamento sociale, tuttavia a causa della loro deficitaria modalità linguistica, si trovano a scegliere di utilizzare a fini comunicativi la modalità visiva che è per loro integra, attraverso gesti manuali o segni, al posto dei suoni vocalici e delle parole.

Una comunicazione gestuale è sempre esistita, ne si trovano testimonianze fin dall’antichità e anche se spesso è stata repressa, si è tramandata di generazione in generazione; ovunque si trovi una comunità di sordi, troveremo una forma di comunicazione del genere. Gli studi linguistici intrapresi negli ultimi quarant’anni a partire da William Stockoe, hanno permesso di interessarsi alle lingue dei segni con finalità scientifiche, allo scopo di capire se possedesse le caratteristiche fondamentali di una lingua.

Come per le lingue vocali, esistono tante e diverse lingue dei segni quante le comunità di sordi hanno potuto creare. Anche il bambino sordo tuttavia può imparare a comprendere e produrre il linguaggio parlato, ma avrà bisogno di una precoce protesizzazione ed un insegnamento esplicito e sistematico, che avrà tempi molto diversi dall’acquisizione spontanea di un bambino udente.

Oltre che per le conseguenze sul piano della comunicazione o dello sviluppo linguistico, l’assenza del senso dell’udito genera conseguenze in tutte le più significative sfere dello sviluppo del bambino, come quella sociale e affettivo-relazionale, le abilità mentali. Un ulteriore aspetto da considerare è l’impatto emotivo che la diagnosi provoca sulla famiglia e la reazione o risposta che ella riesce a dare.

Considerare la sordità solo dal punto di vista medico è riduttivo perché più che il deficit sensoriale in sé, i disagi vengono dalle conseguenze che tale condizione fisica che si intrecciano su vari livelli.

I percorsi dello sviluppo del bambino sordo devono passare per un altro iter, ricorrendo ad altri mezzi, per compensare e trasformare il deficit. Senza fermarsi alla sola analisi delle difficoltà, si deve poi passare all’individuazione delle risorse disponibili sia a livello individuale che familiare e sociale, a partire da cui si può pensare a interventi riabilitativi mirati ed efficaci.

Dott.ssa Marianna Castrataro. Fonte: health-project.it

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