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Dalle scuole speciali ai piani educativi individualizzati…

Dalle scuole speciali ai piani educativi individualizzati: cos’è veramente cambiato?

Integrazione scolastica e pari opportunità sul lavoro sono diritti fondamentali. Gli strumenti legislativi esistono, ma spesso ciò che manca è una reale cultura dell’inclusione sociale e della valorizzazione delle abilità individuali. Ripercorriamo un po’ di storia per imparare dai nostri errori e proporre un futuro migliore ai nostri figli.

LA STORIA – L’interesse per l’istruzione degli allievi disabili è recente: l’obbligo scolastico viene infatti esteso solo ai ciechi ed ai sordi con la Riforma Gentile del 1923. Dieci anni più tardi l’istruzione speciale prevede classi differenziali per gli allievi con lievi ritardi, ospitate nei normali plessi scolastici e scuole speciali per sordi, ciechi ed anormali psichici, situati in plessi distinti. Per i casi più gravi sono previsti istituti speciali, con lunghi soggiorni in cui gli allievi vivevano separati anche dalle famiglie.
Le classi differenziali sono però destinate anche agli allievi con problemi di condotta o disagio sociale o familiare. E’ ad esempio il caso dei figli degli emigranti del sud che giungono nel nord-ovest, i quali molto spesso, di anormale hanno solo la scarsissima frequentazione della lingua italiana.
Fino alla fine degli anni ’60 la logica prevalente rimane quella della separazione, in cui l’allievo disabile viene percepito come un malato da affidare ad un maestro-medico e come potenziale elemento di disturbo.

DALLE CLASSI COMUNI ALL’INTEGRAZIONE – La Legge n. 118/1971 prevede l’inserimento degli allievi con disabilità lieve nelle classi comuni della scuola dell’obbligo, senza alcun accenno alla didattica speciale, allo sviluppo potenziale o alle risorse da impegnare. L’allievo con disabilità che fa il suo ingresso nelle classi comuni, deve adeguarsi ad esse.

Nel 1975 la Commissione speciale guidata da F. Falcucci, giunge ad una Relazione dettagliata che nega il valore della scolarizzazione riservata e afferma l’idea che la frequenza delle classi comuni non deve necessariamente implicare il raggiungimento di mete culturali comuni. Anche qui l’integrazione scolastica è prevista solo per i soggetti con disabilità lieve.

L’abolizione delle classi differenziali si ha con la Legge 517/1977, che individua modelli didattici flessibili in cui attivare forme di integrazione trasversali, esperienze di interclasse o attività organizzate in gruppi di alunni ed affidate ad insegnanti specializzati.

LA LEGGE 104 – Nel 1992 si giunge finalmente ad una legge quadro, organica, che riordina gli interventi dei vent’anni precedenti. La L. 104 non si concentra solo sull’assistenza ma anche sull’integrazione e sui diritti dei disabili; la direzione del legislatore è infatti quella di promuovere la massima autonomia individuale. La Legge specifica, inoltre, che l’integrazione scolastica deve avvenire per tutti e per ogni ciclo, compresa l’università, nelle classi comuni.

Un aspetto centrale della Legge 104 è la programmazione coordinata dei servizi scolastici con quelli sanitari, socio-assistenziali, culturali, ricreativi e sportivi. Una reale integrazione deve infatti coinvolgere anche gli attori del territorio, per poter divenire sociale e, nel tempo, professionale. La Legge mira a realizzare la diversità come valore e a rendere ciascun soggetto con disabilità protagonista della propria vita, in ogni suo aspetto. Occorre perciò sperimentare costantemente le capacità, le abilità residue, il dinamismo delle potenzialità, in un costante training educativo che, a partire dalla famiglia e dalla scuola, orienti precocemente verso l’acquisizione delle abilità sociali, in vista di un progetto di vita.

IL PROGETTO DI VITA – Perseguire una formazione professionale ed un avviamento al lavoro adeguato significa confrontarsi in primo luogo con le reali abilità raggiunte, con le capacità cognitive e relazionali, con gli interessi e le aspettative individuali; occorre poi investirle nel concreto, all’interno delle risorse territoriali disponibili. Si tratta di un processo educativo che mira a formare un’immagine adeguata di sé, attraverso un progetto formativo che non indirizzi verso specifiche professioni ma permetta, invece, di sviluppare le reali abilità sociali da spendere poi nei possibili contesti lavorativi. Solo così il processo di integrazione può divenire sociale.

LE NUOVE SFIDE DELL’INTEGRAZIONE – La Legge 104, benché prospetti l’inserimento dei soggetti disabili negli ordinari corsi di formazione professionale, prevede però l’istituzione di corsi specifici per i soggetti non in grado di frequentare i corsi normali. Così, la Legge che dovrebbe promuove la totale integrazione non fa che riproporre le microclassi speciali anche presso i Centri di Formazione Professionale. Se è vero che la Legge 68/1999 introduce poi l’accesso al collocamento mirato, abrogando il precedente obbligo di generico collocamento da graduatorie, è anche vero che molta strada occorre ancora percorrere perché si giunga ad un reale compimento del processo di integrazione iniziato ormai quarant’anni fa.
Fonte: disabili.com

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