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La Corte dei conti blocca la riforma assistenziale…e il ddl n. 4566 da rivedere o abolire…

La Corte dei conti stronca la riforma assistenziale. La Commissione Finanze della Camera ha richiesto un parere alla Corte dei conti sul disegno di legge delega di riforma fiscale e assistenziale, al vaglio in questi giorni.

La Corte ha formalizzato oggi il suo parere in una articolata delibera. Sorvolando sulla parte fiscale, sulla quale comunque vengono espresse pesanti critiche, ci soffermiamo sulla parte che riguarda la delega assistenziale su cui la Corte sentenzia una sonora stroncatura.

La Corte annota come l’intervento di “riordino della spesa sociale” rappresenti un obiettivo di risparmio, e non di riforma vera e propria, i cui effetti sono difficili da prevedere.

Nella spesa sociale ci sarebbe ben poco da risparmiare, secondo la Corte: “i risparmi effettivamente conseguibili su una spesa che nel complesso ammonta a poco meno di 30 miliardi di euro, se limitata al comparto dell’assistenza (pensioni e indennità di accompagno per gli invalidi civili, pensioni di guerra, pensioni sociali, integrazioni al minimo, prestazioni di maternità, assegni familiari,…), e che comunque non dovrebbe superare i 40 miliardi, se estesa ad alcune aree al confine con la previdenza (pensioni di reversibilità, in particolare), dovrebbero risultare relativamente limitati”.

Poco praticabile sarebbe l’applicazione di limiti reddituali e patrimoniali per la concessione dell’indennità di accompagnamento e per le pensioni di invalidità.

“D’altra parte, – annota la Corte – non si può ignorare che in molti casi si è in presenza di erogazioni monetarie che fanno parte di una politica ‘nascosta’ di contrasto alla povertà, compensativa di un’offerta di servizi non sempre adeguata e uniformemente distribuita sul territorio. E, conseguentemente, non appare irragionevole attendersi che i risparmi di un riordino possano risultare in larga parte controbilanciati dalle risorse che sarà necessario mettere in campo per assicurare servizi adeguati ad una prevedibile impennata del fenomeno della non-autosufficienza”.

Nella sostanza la Corte fa capire: attenzione! Quello che si risparmia da una parte, riemerge come istanza legata alla non autosufficienza.

Osservazioni molto critiche anche sul “fondo per l’indennità sussidiaria” che, come prevede il disegno di legge, dovrebbe essere ripartito fra le regioni con “standard definiti in base alla popolazione residente e al tasso d’invecchiamento della stessa nonché a fattori ambientali specifici”.

Secondo la Corte ciò “lascia prefigurare una sorta di contingentamento della spesa impegnata dall’indennità di accompagnamento (…), con il ribaltamento sulle regioni dell’onere di contenerne la futura dinamica”.

In un crescendo di critiche la Corte giunge alla questione dei livelli essenziali di assistenza: “Non può essere sottovalutato il rischio che nella sua versione attuale, in mancanza di una chiara definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, la riforma possa portare, non tanto ad un auspicabile concentrazione delle risorse sulle condizioni effettivamente meritevoli, ma ad una ulteriore compressione delle politiche a sostegno dei non autosufficienti”.

E ancora: “il solo riferimento alla ripartizione delle risorse fra regioni secondo criteri di numerosità e di invecchiamento della popolazione nonché in base a fattori ambientali non specificati, sembra mirare più a contenere le realtà territoriali in cui la richiesta è superiore alla media, che a rispondere ad effettivi obiettivi di identificazione dei fabbisogni”.

Ne segue una lucida analisi storica: “Non si può ignorare, infatti, che negli ultimi anni le somme trasferite dallo Stato alle realtà territoriali a copertura degli interventi per l’assistenza hanno subito rilevanti tagli: il mancato rifinanziamento del fondo per le autosufficienze, la riduzione degli stanziamenti per il fondo politiche sociali e per la politica abitativa hanno già sensibilmente inciso sul quadro degli interventi in ambito locale”.

Ma ce n’è anche per il previsto affidamento della futura gestione della carta acquisti alle organizzazioni non profit. Secondo la Corte: “le organizzazioni non profit possono essere coinvolte dai Comuni nell’azione di impianto dei programmi, ma non possono rappresentare un limite alla discrezionalità nell’indirizzo delle risorse pubbliche”.

“Per una volta la FISH non ha nulla da aggiungere! – commenta con soddisfazione Pietro Barbieri, presidente della Federazione – salvo esprimere la soddisfazione di leggere motivazioni che da anni sosteniamo espresse dal massimo organo di giurisdizione contabile”.

Scarica il testo della delibera della Corte dei conti

Fonte: fish.it 11 ottobre 2011


 

 

 

I conti della Corte

È un’operazione chirurgica e spietata, quella attuata dalla Corte dei Conti, nel bocciare senza riserve il Disegno di Legge Delega della Riforma Fiscale e Assistenziale, presentato nell’estate scorsa dal Governo. Ma si tratta di un intervento che restituisce dignità e speranza ai tanti che in questi mesi avevano puntualmente e drammaticamente denunciato la pericolosità di un approccio contabile, teso unicamente a mettere sulla carta un risparmio imponente, tanto notevole da risultare, in realtà, l’elemento determinante della Manovra di Ferragosto, quella che aveva il compito di acquietare i mercati e di tranquillizzare la Banca Centrale Europea

Per fortuna esistono ancora italiani dalla schiena dritta. Nel giorno in cui il gruppo dei “Grandi Giornalisti” si “tuffa” sulla bocciatura dell’articolo 1 del rendiconto generale dello Stato e si dedica all’esercizio del vaticinio sulla durata del Governo Berlusconi, passa ovviamente quasi del tutto inosservata una notizia clamorosa, che di per sé dovrebbe comportare un voto di fiducia, in questo caso sui contenuti della politica economica e fiscale.

Sto parlando del Parere severo, che assomiglia a una condanna senza riserve, quasi sprezzante per chiarezza e durezza, emesso dalla Corte dei Conti, non di propria spontanea iniziativa, ma perché appositamente richiesto dalla Commissione Finanze della Camera, che sta esaminando il Disegno di Legge Delega della Riforma Fiscale e Assistenziale [n. 4566, N.d.R.].

Si tratta di un testo magistrale per completezza, lucidità di analisi e severità, ma perfino per la capacità di collocare storicamente le scelte di politica assistenziale del nostro Paese.

La scelta sciagurata del ministro Tremonti di legare il contenimento massiccio della spesa pubblica proprio all’attuazione della riforma fiscale e assistenziale viene vivisezionata e stroncata, in punta di diritto, ma anche di conti economici. Un’operazione chirurgica e spietata, ma che restituisce, in poche pagine, dignità e speranza ai tanti che in questi mesi avevano puntualmente e drammaticamente denunciato la pericolosità di un approccio contabile, teso unicamente a mettere sulla carta un risparmio imponente, tanto notevole da risultare, in realtà, l’elemento determinante della Manovra di Ferragosto, quella che aveva il compito di acquietare i mercati e di tranquillizzare la Banca Centrale Europea.

Se l’analisi della Corte dei Conti – notoriamente composta da membri autorevoli e indipendenti – è esatta e corrisponde alla realtà, questo comporta come conseguenza politica inevitabile l’abbandono immediato di quella scelta, sbandierata come “rigorosa” da parte del Governo e del suo Superministro. Si dovrà ripartire da capo, da zero. Ma la conseguenza micidiale non potrà essere che la rimessa in discussione delle cifre complessive della manovra. Quei 40 miliardi non sono soltanto “aleatori”. Non ci sono e non ci saranno mai.

La FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) ha colto immediatamente la portata esplosiva di questo Parere. Riporto solo un passaggio, particolarmente significativo, del comunicato diffuso dalla Federazione: «Nella spesa sociale ci sarebbe ben poco da risparmiare, secondo la Corte: “i risparmi effettivamente conseguibili su una spesa che nel complesso ammonta a poco meno di 30 miliardi di euro, se limitata al comparto dell’assistenza (pensioni e indennità di accompagno per gli invalidi civili, pensioni di guerra, pensioni sociali, integrazioni al minimo, prestazioni di maternità, assegni familiari…), e che comunque non dovrebbe superare i 40 miliardi, se estesa ad alcune aree al confine con la previdenza (pensioni di reversibilità, in particolare), dovrebbero risultare relativamente limitati”. Poco praticabile sarebbe l’applicazione di limiti reddituali e patrimoniali per la concessione dell’indennità di accompagnamento e per le pensioni di invalidità. “D’altra parte, – annota la Corte – non si può ignorare che in molti casi si è in presenza di erogazioni monetarie che fanno parte di una politica ‘nascosta’ di contrasto alla povertà, compensativa di un’offerta di servizi non sempre adeguata e uniformemente distribuita sul territorio. E, conseguentemente, non appare irragionevole attendersi che i risparmi di un riordino possano risultare in larga parte controbilanciati dalle risorse che sarà necessario mettere in campo per assicurare servizi adeguati ad una prevedibile impennata del fenomeno della non-autosufficienza”».

Luigi Mazzillo, Enrico Flaccadoro, Massimo Romano: ecco i nomi dei tre relatori della Corte dei Conti, che firmano il loro parere assieme al presidente Luigi Giampaolino. Bene, se nei prossimi mesi potremo riprendere, con maggiore serenità, il cammino per un’autentica riforma dell’assistenza, che parta, magari, dalla definizione dei Livelli Essenziali, come vuole la Costituzione, una parte non indifferente del merito andrà di diritto a questi servitori dello Stato. Grazie.

Franco Bomprezzi. Fonte: superando.it 13 ottobre 2011


 

 

FISH in Commissione Finanze: delega assistenziale inemendabile

“Il disegno di legge delega sulla riforma assistenziale è inemendabile nei contenuti, nella forma, nelle finalità e nei metodi”. Così ha perentoriamente dichiarato Pietro Barbieri, presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, a margine della audizione presso la Commissione Finanze della Camera presso la quale la FISH è stata convocata.

Ma anche la riforma fiscale costituisce, in alcune sue parti, un pericoloso arretramento nelle politiche, dirette o indirette, a favore di tutte le famiglie e dei singoli in maggiore difficoltà e non può che produrre effetti dannosi e recessivi, oltre che per la coesione sociale, anche per l’economia reale.

In un corposo ma molto chiaro documento, lasciato agli atti della Camera, la FISH ha posto in assoluta evidenza quali saranno le ricadute negative sulle famiglie italiane, sulle persone con disabilità e sui diritti soggettivi.

Le critiche al disegno di legge sono sia formali e costituzionali (la stessa forma della delega consente una eccessiva discrezionalità al Governo), che di merito e di contesto: gli effetti che questa norma, se approvata, produrrebbe nel tessuto sociale del Paese sarebbero nefasti.

“Il documento depositato  – informa Barbieri – rappresenta anche uno sforzo informativo che è illuminante circa le immediate ricadute alle quali si è dato finora poca importanza. Apparirà ora con tutta evidenza che cosa accade dal 2012”.

Quella della FISH si aggiunge alle altre stroncature che il disegno di legge ha subito alla prima analisi in Commissione Finanze. La più rilevante quella della Corte dei conti, ma altrettanto decise critiche sono arrivate, finora, anche dai Sindacati e da Confindustria.

Vedi il documento della FISH

Fonte: fishonlus.it 18 ottobre 2011


 

Delega al Governo per la riforma fiscale e Assistenziale. Atto Camera 4566/2011

L’articolo 10 dell’Atto Camera 4566 del 2011 delega il Governo ad adottare uno o piu’ decreti legislativi finalizzati – sul presupposto della separazione del dovere fiscale da quello assistenziale – alla riqualificazione delle prestazioni socio-assistenziali a favore dei soggetti autenticamente bisognosi, al trasferimento delle relative funzioni ai livelli di Governo piu’ prossimi ai cittadini, alla promozione dell’offerta sussidiaria dei servizi da parte delle famiglie e delle organizzazioni che perseguono scopi sociali.

I principi e i criteri direttivi della delega sono cose riassumibili:
– revisione degli indicatori di situazione economica equivalente (ISEE);
– riordino dei requisiti reddituali e patrimoniali per l’accesso alle prestazioni socio assistenziali;
– armonizzazione dei diversi strumenti previdenziali, assistenziali e fiscali di sostegno;
– responsabilizzazioni sull’utilizzo e sul controllo delle risorse da parte dei livelli di governo piu’ vicini al cittadino;
– istituzione per l’indennita’ di accompagnamento di un fondo per l’indennita’ sussidiaria ripartito tra le regioni;
– trasferimento ai Comuni della carta acquisti;
– attribuzione all’INPS delle competenze relative alla erogazione dei contributi monetari assistenziali;
– creazione di un archivio elettronico, predisposto dall’INPS e condiviso con l’intera P.A. contenente i fascicoli relativi ai beneficiari delle prestazioni.

Formalmente l’obiettivo della delega e’ quello del riordino della legislazione in materia sociale, attraverso il superamento delle attuali sovrapposizioni e duplicazioni di spesa, dell’integrazione dei servizi socio-sanitari con i servizi del welfare, del passaggio dalle forme di contribuzione monetaria diretta ad un sistema di servizi alla persona che – si prevede – dovranno gravare prevalentemente sulle famiglie e sulle organizzazioni che perseguono finalita’ sociali, affidando allo Stato e alle pubbliche amministrazioni competenti per legge un ruolo integrativo.

In concreto, invece, la finalita’ dei presunto riordino e’ quella espressa nell’articolo 11 del citato Atto Camera che prevede che dall’attuazione della delega ed in particolare dal riordino delle spese in materia sociale, nonche’ dalla eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale che si sovrappongono alle prestazioni assistenziali, dovranno derivare effetti positivi, ai fini dell’indebitamento netto, non inferiori a 4.000 milioni di euro per l’anno 2013 e a 20.000 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2014 (le scadenze sono state anticipate dall’articolo 1 del decreto legge n. 136 del 2011 rispettivamente al 30 settembre 2012 e a decorrere dal 2013). Ad ulteriore esplicitazione dello scopo effettivo perseguito, il comma 1- ter dell’articolo 40 del decreto legge n. 98 del 2011 ha disposto la riduzione del 5% e successivamente del 20% dei regimi di esenzione fiscale nell’ipotesi in cui entro il 30 settembre 2012 non sia data attuazione alla riforma del sistema assistenziale prevista dalla legge di delega all’esame del Parlamento.

Invero, le norme in questione preannunciano piu’ che una riforma, un taglio indiscriminato dei costi dell’assistenza sociale e soprattutto delle relative prestazioni economiche oggi previste a favore degli invalidi civili, dei ciechi e dei sordi e si pongono in linea consequenziale con i provvedimenti normativi che dal 2009 ad oggi hanno dato corpo ad una politica puramente compressiva se non repressiva in materia di disabilita’.

L’obiettivo primario del raggiungimento del risultato di bilancio viene perseguito prescindendo sia dalla configurazione strutturale della riforma assistenziale che dal mantenimento di una tutela sostanziale nonche’ dalla conservazione dei diritti gia’ acquisiti dai soggetti disabili.

A tal fine al Governo e’ stato attribuito un mandato in bianco, in modo da avere piena liberta’ di smantellare l’intero sistema della invalidita’ civile e, quindi, di una parte essenziale del Welfare, al solo scopo del raggiungimento degli obiettivi di riduzione della spesa.

Di qui una prima considerazione : la delega risulta in evidente contrasto con l’articolo 76 della Costituzione.

Tale norma, infatti, dispone che: ” L’esercizio della funzione legislativa non puo’ essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato e per oggetti definiti”.

Invece, la proposta in esame delega il Governo al perseguimento del solo obiettivo di risparmio, senza indicare o indicando genericamente i principi e i limiti all’esercizio della potesta legislativa, omettendo l’individuazione degli istituti da rivisitare e il modello assistenziale da costruire.

Da questo quadro consegue un ulteriore profilo di illegittimita’ complessiva della delega che viola apertamente gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione in quanto incide sui diritti soggettivi dei disabili, fa venir meno il dovere dello Stato di prevedere e assicurare i mezzi adeguati per coloro che sono in condizione di inabilita’, non assicura i diritti fondamentali della persona, mentre, di converso, accentua la situazione di disuguaglianza sociale.

Tutto cio’ per non parlare del contrasto delle norme con i principi della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilita’, ratificata in Italia con legge n. 18 del 3 marzo 2009, ed in particolare degli articoli 3, 4 e 28 che rispettivamente prevedono come criteri cui lo Stato deve attenersi, il rispetto della dignita’ umana, la non discriminazione, le pari opportunita’, il diritto ad un livello adeguato di vita, prevedendo sanzioni in caso di inadempienze o di adozione di politiche sociali in violazione degli stessi.

Si tratta di un grosso passo indietro rispetto al sistema previsto dalla legge quadro n.328/2000 e oltretutto presenta contraddittorieta’ interne evidenti che, in termini sostanziali, comporteranno solo una minore tutela dei disabili e la negazione di quelli che sono stati i diritti acquisiti in sessanta anni di lotta, a partire dal dopoguerra, e che fanno dell’Italia un paese all’avanguardia della legislazione sociale.

In ogni caso e l’impianto della riforma che non risulta sostenibile e accettabile.

Infatti venendo all’esame di quelle poche e generiche enunciazioni di principio, pare innanzitutto non potersi condividere il principio – ritenuto presupposto della riforma – della separazione del dovere fiscale rispetto a quello di assistenza sociale.

In sostanza si propone un sistema che fa venir meno tutte quelle forme di agevolazione fiscale che oggi si aggiungono alle prestazioni economiche e ai servizi sociali a favore dei disabili che vengono falsamente considerate come forme di privilegio e di ampliamento della spesa sociale non piu’ sostenibili.

Invece non puo’ revocarsi in dubbio che il diritto a ricevere dallo Stato e dagli Enti pubblici prestazioni e servizi sociali non esclude l’opportunita’ e la necessita’ delle esenzioni fiscali, totali o parziali, collegate all’acquisto di beni e servizi necessari per il soggetto disabile, anzi il favore fiscale costituisce una forma di completamento della tutela.

Si tratta di forme di tutela indiretta di soggetti che non si sottraggono ai doveri fiscali, ma che hanno bisogno di ricevere beni e servizi al minor costo possibile, perche’ necessari a superare le difficolta’ connesse al loro stato di salute e alla loro condizione economica.

Parimenti non condivisibile e il principio del passaggio dal sistema delle contribuzioni economiche dirette a favore dei disabili a quello dell’erogazione di prestazioni sostitutive di servizi.

Innanzitutto, solo per ipotizzare un simile cambio di politica assistenziale, lo Stato avrebbe dovuto, come gia’ previsto dall’articolo 22 della legge 328/2000, definire e garantire i livelli essenziali delle prestazioni sociali (L1VEAS) in modo da offrire pari dignita’ e tutela a tutti i soggetti sull’intero territorio nazionale.

Inoltre, affidare agli Enti locali la gestione dei servizi sociali e contemporaneamente tagliare in misura sostanziale le risorse necessarie alla relativa spesa, significa di fatto vanificare la possibilita’ di effettuare la prestazione dei medesimi servizi. Allo stesso modo, individuare nella famiglia e nelle organizzazioni con finalita’ sociali il punto di riferimento dell’offerta sussidiaria di servizi e poi eliminare il sostegno economico ai disabili e quindi alle loro famiglie, tagliare le agevolazioni fiscali, ridurre i contributi per il volontariato, significa solo enunciare un principio che nei fatti determinera’ soltanto una minore tutela dei disabili che verranno a trovarsi senza sostegno economico e senza servizi, a totale carico delle famiglie quasi sempre in condizione di non poter sostenere la spesa per la necessaria assistenza. Si tratta di contraddizioni fin troppo evidenti in un disegno che si propone lo scopo di riorganizzare l’assistenza sociale ma che evidenzia solo la volonta’ di ulteriormente penalizzare i soggetti piu’ deboli.

Il punto di partenza di questa stretta e’ stata la falsa convinzione che la spesa sociale assorbe risorse ingentissime, mentre in realta’ e’ tra le piu’ basse in Europa.

La verita’ invece e’ diversa: certamente e’ necessario intervenire per porre rimedio a sacche di abuso dei diritti e delle prestazioni riconosciute dallo Stato e dagli Enti locali.

Ma la “pulizia” indiscriminata, effettuata solo per esigenze di cassa, e’ cosa diversa e viola i principi della tutela delle persone che, a causa di menomazioni psichiche, fisiche o sensoriali, non sono in grado non soltanto di produrre reddito ma di accedere alle elementari forme di vita sociale.

La collettivita’ deve farsi carico di questi problemi ed e’ assolutamente condivisibile che sia innanzitutto la famiglia a provvedere in tal senso. La cultura del nostro paese va in questa direzione: il disabile vuole e deve essere prioritariamente assistito da suo nucleo familiare e ad integrazione di quanto riceve dalla famiglia ha bisogno di servizi pubblici o di volontariato integrativi, capaci di assicurare i livelli essenziali di assistenza e forme paritarie di inclusione sociale.

L’intervento prioritario delle famiglie, adeguatamente sostenuto in termini economici e di servizi integrativi costituisce la formula migliore per garantire la tutela umana delle persone disabili e un effettivo risparmio di spesa.

La delega va in senso opposto a questi criteri perche’, al di la delle enunciazioni di principio gia’ di per se discutibili, taglia fondi alle famiglie, taglia fondi agli enti locali chiamati ad offrire servizi in sostituzione della contribuzione economica diretta, rinnega i principi che la legislazione e la tutela giurisdizionale connessa hanno posto a base del nostro Stato sociale.

Sulle specifiche questioni inerenti ai principi e ai criteri direttivi della delega, premessa l’adesione alla previsione dell’attribuzione all’INPS delle competenze relative alla erogazione dei contributi monetari assistenziali diretti e alla creazione dell’archivio elettronico dei beneficiari delle prestazioni assistenziali e con riserva di verificare il sistema del trasferimento ai Comuni della “carta acquisti”, si rassegnano le seguenti specifiche considerazioni:

a) revisione degli indicatori della situazione economica equivalente (ISEE).

E’ noto che il sistema degli indicatori della situazione economica equivalente (ISEE) – introdotto nel nostro ordinamento dall’articolo 1 del decreto legislativo 109/1998 allo scopo di individuare criteri unificati di valutazione della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni o servizi sociali o assistenziali non destinati alla generalita’ dei soggetti – e’ costituito da una componente reddituale (ISR), da una componente patrimoniale (ISP) ed e’ reso confrontabile per le famiglie di diversa numerosita’ e caratteristiche mediante l’uso di una scale di equivalenza (SE).

Rispetto a tali criteri di calcolo per la determinazione dei diritti ai servizi socio-assistenziali la previsione della riforma che fa riferimento alla generica composizione dei nucleo familiare avrebbe avuto necessita’ di ulteriore specificazione.

Il Governo, al fine di realizzare una riforma equa e seria dell’istituto, dovrebbe tener presente non soltanto il dato economico del nucleo familiare in cui vive un disabile ma della situazione lavorativa dei componenti (distanza dalla residenza, precarieta’ ecc.), degli oneri connessi all’assistenza del disabile e dei servizi pubblici offerti alla famiglia. La capacita’ di fornire assistenza cambia non solo in funzione del patrimonio e dei reddito ma della tipologia di lavoro dei familiari, dei servizi offerti, delle situazioni locali di assistenza, della concreta possibilita’ di occuparsi del disabile, della tipologia e grado di disabilita’.

Solo l’insieme di questi dati permette di fotografare l’effettiva situazione su cui calibrare la partecipazione economica del soggetto al costo dei servizi.

b) Riordino dei criteri di accesso alle prestazioni economiche assistenziali.

Si tratta di un capitolo dolente della riforma perche’ la finalita’ e’ quella di realizzare un risparmio di spesa riducendo il numero delle prestazioni economiche riconosciute ai soggetti che o non hanno alcuna capacita’ lavorativa o sono in condizioni di forte riduzione della stessa e quindi incapaci oggettivamente di produrre reddito.

La legge delega non indica i criteri di riordino, lasciando all’arbitrio dell’Esecutivo la individuazione dei presupposti per la loro concessione.

Innanzitutto sarebbe stato necessario premettere che il riordino ipotizzato non deve determinare la riduzione degli attuali trattamenti che costituiscono il livello minimo di assistenza economica per i disabili, anzi sarebbe stato necessario prevedere meccanismi di integrazione variabili a seconda delle condizioni familiari e sociali del disabile e delle forme di inclusione sociali esistenti e dei servizi messi a disposizione dello stesso.

Ancora, sarebbe stato opportuno ribadire la necessita’ dell’accelerazione della riforma del sistema tabellare di valutazione dell’invalidita’ civile, con previsione di criteri interpretativi tali da garantire uniformita’ di giudizio su tutto il territorio nazionale, passo questo essenziale per una corretta individuazione dell’incidenza delle patologie sulla capacita’ lavorativa del disabile e per evitare disparita’ di giudizi come oggi accade nell’ambito delle stesse Commissioni di accertamento e verifica del’invalidita’ civile.

Altro aspetto significativo e’ quello della individuazione della situazione reddituale e patrimoniale cui ancorare il diritto alla erogazione della prestazione. A tal proposito, per evitare la disparita’ interpretativa che oggi si verifica soprattutto ad opera della Magistratura del lavoro, sarebbe stato necessario ribadire che il reddito e la situazione patrimoniale di riferimento devono essere quelli personali e non del nucleo familiare.

Anzi, per rendere piu’ adeguate le prestazioni ai casi singoli sarebbe stato necessario ancorare alla situazione economica personale la parte fissa e strutturale della provvidenza e determinare l’eventuale concessione di una indennita’ integrativa in relazione alla situazione economica del nucleo familiare, in modo da garantire effettivamente una uguaglianza sostanziale degli aventi diritto collegata alla diversita’ della situazione di partenza.

Non meno importante sarebbe stata la introduzione di una diversificazione dell’ammontare delle prestazioni tra coloro che versano in una situazione di inabilita’ totale e quindi non hanno alcuna capacita’ lavorativa residuale e di conseguenza di produzione di reddito e coloro che hanno una invalidita’ parziale e che sono collocabili astrattamente sul mercato del lavoro ed hanno bisogno di percorsi formativi.

c) Istituzione di un fondo per l’indennita’ sussidiaria di accompagnamento.

Si tratta del colpo piu’ duro che la delega all’esame del Parlamento cerca di infliggere allo Stato sociale cancellando di fatto un istituto che, nato con la legge n. 18/1980, ha costituito e costituisce l’asse portante della tutela minimale delle persone non autosufficienti.

Il sistema ipotizzato e’ quello del passaggio dalla contribuzione diretta per coloro che sono non deambulanti, non autosufficienti e bisognosi di assistenza continuativa, ciechi assoluti , alla contribuzione eventuale operata dalle Regioni sulla base di un fondo per la non autosufficienza messo a loro disposizione, da utilizzare nei casi in cui i servizi socio – sanitari e socio – assistenziali offerti non risultino in grado di offrire una risposta adeguata alle esigenze dei soggetti non autosufficienti.

Si tratta di meccanismi di per se’ non praticabili in assoluto.

Innanzitutto nella delega e’ insita una contraddizione tra il proclamato e sostenuto affidamento alle famiglie del disabile e il taglio del contributo di sostegno per le persone non autosufficienti che ne fanno parte.

Il sistema dei servizi e’ piu’ costoso oltre che meno accettato dai disabili gravi rispetto all’assistenza familiare e comunque dovrebbe essere organizzato dagli Enti locali che non hanno risorse in materia socio – assistenziale e a cui lo Stato promette solo ulteriori tagli di settore.

La verita’ e’ un’altra e cioe’ quella di eliminare dall’Ordinamento un istituto di civilta’ che costituisce un elemento di vanto per il nostro Paese, che invece andrebbe semmai ridisciplinato attraverso la considerazione della platea dei destinatari e delle capacita’ delle famiglie di appartenenza di fronteggiare in tutto o in parte i costi collegati alla non autosufficienza.

Conseguentemente, la istituzione dei fondo per l’indennita’ sussidiaria sostitutiva rispetto alla corresponsione della indennita’ di accompagnamento potrebbe risultare significativo solo se visto non come istituto alternativo alla prestazione economica diretta ma come integrativo della stessa.

In tal modo si favorirebbe la scelta del disabile grave di rimanere all’interno del nucleo familiare chiamato ad assisterlo, si eviterebbero i costi esponenziali connessi alla creazione di servizi socio – assistenziali generalizzati e non accettati dalla quasi totalita’ dei disabili gravi, si strutturerebbero servizi integrativi per quelle forme di assistenza che la famiglia non puo’ dare o per coloro che non hanno famiglia capace economicamente o strutturalmente di offrirla. Eppure, in momenti congiunturali difficili, i tagli di spesa appaiono come lo strumento piu’ semplice per ridurre l’indebitamento dello Stato, ma la lungimiranza politica permette di comprendere che solo dalle buone riforme si ottiene io sviluppo e solo dalla tutela razionale e condivisa delle posizioni soggettive piu’ deboli si ottiene la creazione di uno Stato sociale in cui tutti sono chiamati a contribuire al bene comune attraverso la tutela innanzitutto dei diritti fondamentali della persona umana.

In questo senso si rassegna la presente notazione critica delle scelte governative all’esame del Parlamento e si prospettano proposte di modifica all’art. 10 della delega dell’atto Camera 4566/2001.

Documento dalla Fand (13 ottobre 2011)



Fand: la riforma assistenziale così non va.
Se non sarà modificato il disegno di legge, i disabili torneranno in piazza

La Fand (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle persone con Disabilità), rappresentata dal suo presidente Giovanni Pagano, ha consegnato ai parlamentari delle Commissioni riunite Affari sociali e Finanze (si è svolta ieri l’audizione delle associazioni sul disegno di legge delega di riforma fiscale e assistenziale) una relazione con i rilievi critici prospettati dalle associazioni aderenti alla federazione (Anmic, Anmil, Ens, Uic, Unms, Anglat, Arpa). Ai parlamentari è stato consegnato un testo contenente una serie di emendamenti redatti in coerenza con il documento presentato.

Nel corso dell’audizione Pagano ha inoltre espresso un giudizio negativo sui previsti tagli indiscriminati di spesa, in merito ai principi della non cumulabilità delle esenzioni o agevolazioni fiscali con i diritti di assistenza sociale, sulla sostituzione dell’indennità di accompagnamento con l’istituzione di un fondo per l’indennità sussidiaria, sulla revisione delle prestazioni economiche senza indicazione dei criteri direttivi.

«Il modello assistenziale», ha sostenuto Pagano, «deve essere svincolato dall’obiettivo del risparmio di spesa, nonché deve garantire livelli essenziali economici e di servizi, potenziando il sostegno all’assistenza familiare e favorendo una politica di servizi attraverso risorse da mettere a disposizione dei Comuni».

Le ragioni di assoluta non condivisione del provvedimento legislativo di delega sono state fortemente sostenute anche dal rappresentante dell’Uic, presente insieme al presidente dell’Ens, che ha parlato di forte attacco allo stato sociale.

Infine, è stato evidenziato che, qualora alla legge delega non saranno apportate quelle modifiche necessarie a garantire i diritti economici e sociali acquisiti, le associazioni scenderanno in piazza per far sentire la loro voce e far conoscere la loro forza.

Fonte: vita.it

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