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Parlare con i segni, ora è una lingua

Parlare con i segni, ora è una lingua
Gli scienziati contro un testo di legge che trascura il carattere identitario dell’idioma usato dai sordi. Adoperare i gesti al posto dei suoni: un campo verbale di pari dignità e aperto a chiunque voglia impararne le regole.

Per dimostrare la sottigliezza, la completezza e la rapidità delle lingue dei segni vorrei portare un dato personale. In tre corsi universitari avanzati, da me tenuti all’Università dell’Arizona, avevo costantemente al mio fianco un interprete che rendeva, nella lingua dei segni più diffusa negli Stati Uniti (la Asl, American Sign Language), in tempo reale, per due studenti sordi regolarmente iscritti, tutto quanto dicevo in inglese. Si noti, erano corsi avanzati e non lesinavo termini tecnici, concetti complessi e commenti.

Una lingua dei segni, infatti, a dispetto di un pregiudizio assai diffuso, è una lingua a pieno diritto, come l’italiano, l’inglese, il cinese. Non è un rudimentale veicolo di comunicazione a gesti né una serie di pantomime. Qualsiasi pensiero che può essere espresso in una lingua parlata può essere altrettanto bene e rapidamente espresso in una lingua dei segni. Nelle comunità di sordi segnanti, in tutto il mondo, in lingue tra loro tanto diverse quanto lo sono le lingue parlate, si raccontano storielle, si ride dei doppi sensi, si compongono poesie.

Purtroppo tutto ciò non sembra essere chiaro al legislatore italiano, come ha denunciato il professor Rino Falcone, attuale direttore dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr, in un articolo sulla rivista web «Scienza in rete» (www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/lingua-dei-segni) fortemente critico verso la nuova legge sulla Lingua dei segni italiana (Lis) in discussione a Montecitorio.

«Nel caso il testo dovesse essere approvato – mi dice – le persone sorde verrebbero fortemente penalizzate, in quanto risulterebbe messo in discussione il valore di identità che attribuiscono alla Lis. Una lingua infatti determina ed esprime non soltanto la capacità comunicativa delle persone che la utilizzano, ma è in grado di modulare e rappresentare i fattori psicologici alla base della comunicazione e della cognizione. È anche attraverso una lingua che idee, emozioni e sentimenti assumono lo spessore della condivisione».

La commissione Affari sociali della Camera ha approvato il 26 luglio una versione della legge profondamente modificata rispetto al testo proveniente dal Senato, togliendo molti riferimenti importanti. Per fare degli esempi concreti, è stata cancellata la norma finalizzata a promuovere «l’insegnamento, e l’uso da parte degli studenti, della Lis» a livello universitario e nella formazione post lauream. Mentre è stato aggiunto un riferimento esplicito alla ricerca, dove si promuove la ricerca solo (Falcone sottolinea il «solo») nel campo della tecnologia biomedica e non si fa nessun riferimento alla ricerca linguistica, psicologica, neuropsicologica e pedagogica relativa alla sordità e in particolare alla Lis e al suo uso.

«L’indesiderabilità di questa legge – commenta Falcone – sta nel suo non tener conto di due esigenze fondamentali: la prima è favorire e rispettare le pratiche positive che le comunità hanno costruito al loro interno e con le altre parti di comunità esterne (con l’ovvia eccezione dei casi in cui ci siano potenziali danni o discriminazioni); la seconda è seguire le indicazioni provenienti dalle conoscenze scientifiche più aggiornate».

Un’esperta internazionalmente nota di neuropsicologia cognitiva, Daniela Perani, ha scritto il seguente commento all’articolo di Falcone: «Sostengo assolutamente la Lis come il vero linguaggio delle persone non udenti. La Lis non è un supporto alla sordità, nasce dalle capacità del nostro cervello. Basti pensare che bambini sordi all’età di pochi mesi, come i loro coetanei udenti, hanno la cosiddetta lallazione, ma usano precisi segni delle mani per questo. Inoltre la Lis non è unica ma ogni Paese ha una sua propria lingua dei segni, con sfumature diverse all’interno dello stesso Paese. Se la legge ha i limiti descritti da Falcone, rivela l’ignoranza dei suoi proponenti».

Gli studiosi non hanno dubbi sulla natura delle lingue dei segni. Il massimo linguista vivente, Noam Chomsky, da me interpellato, è lapidario: «Ricerche scientifiche di enorme interesse, in oltre trent’anni, hanno dimostrato che le lingue dei segni sono sotto ogni aspetto identiche alle lingue parlate, salvo ovviamente il diverso canale sensoriale usato per esternalizzarle. Questa identità comprende non solo la loro struttura e il loro design ma anche, molto significativamente e in larga misura, l’uso della lingua e il modo in cui viene acquisita dal bimbo sordo. Queste scoperte si sono rivelate molto sorprendenti, ma non lasciano oramai più alcun dubbio e le lingue gestuali sono da anni fermamente incorporate nell’ambito della teoria linguistica generale».


Alcune lettere dell’alfabeto manuale nella lingua dei segni britannica (Wellcome Images)

Se possibile, ancora più lapidarie sono due illustri studiose, ex allieve di Chomsky: Ursula Bellugi del Salk Institute a San Diego in California e Laura Petitto, attualmente direttrice di un centro di ricerche nella più famosa scuola per sordi, la Gallaudet University, a Washington. Ursula Bellugi è tagliente: «Dopo tanti anni di splendide ricerche sulle lingue dei segni, è semplicemente stupido che i legislatori italiani progettino una legge simile».

Laura Petitto mi dice, senza peli sulla lingua: «Negli ultimi 52 anni, accurate analisi linguistiche hanno messo in evidenza la ricchezza delle lingue dei segni, a ogni livello. Esse sono lingue reali sia dal punto di vista pratico sia da quello formale. Le comunità di sordi, minoritarie nei Paesi in cui vivono, hanno la loro lingua, con tradizioni, sfumature, humour, arti, teatri, riviste specializzate, intere filmografie. Esiste anche una particolare espressione musicale e di danza. Tutto questo lega tra di loro i membri di queste comunità».

La Petitto è tra coloro che hanno recentemente dimostrato l’identità delle attivazioni cerebrali nelle aree del linguaggio tra persone udenti esposte a una lingua parlata e persone sorde esposte a una lingua dei segni. Essendo di origine italiana, mi parla con ammirazione della comunità dei sordi nel nostro Paese e degli insigni studiosi che hanno analizzato e promosso la Lis.

Passo, quindi, la parola alla studiosa più nota: Virginia Volterra, autrice non solo di numerosi fondamentali lavori, ma anche grande benemerita della comunità dei sordi in Italia, per la sua opera di sostegno e promozione della loro lingua e della loro cultura. Storicamente tra il 1880 e il 1980, mi spiega, «il metodo di rieducazione strettamente oralista utilizzato con i bambini sordi era ancora dominante in Italia. Tra le motivazioni che avevano portato gli educatori dei sordi a prendere decisioni così risolute contro l’uso dei segni figurava senza dubbio il timore che l’acquisizione della lingua dei segni portasse la persona sorda ad allontanarsi dal mondo degli udenti, isolandosi e diventando irraggiungibile, tanto sul piano delle norme della collettività, quanto sul piano del catechismo e del verbo religioso».

Però, per fortuna, le cose cominciarono a cambiare, in gran parte grazie all’opera della stessa Volterra e di altri suoi colleghi e la piena dignità linguistica delle lingue dei segni fu riconosciuta, anche in Italia. Progressivamente, la comunicazione in segni si inseriva nella società civile. Prima era usata quasi solamente nei circoli, nelle famiglie di sordi, nelle scuole speciali (fuori delle classi), al bar e nelle attività sportive, perché c’era spesso vergogna o reticenza a usare la mimica nei luoghi pubblici. Gli utenti conoscevano sia i segni sia l’italiano parlato e scritto, ma le due forme di comunicazione restavano in qualche modo separate.

La lingua dei segni italiana (Lis) è attualmente oggetto di insegnamento universitario, a Roma, Venezia, Milano, Forlì, Pisa, Siena, Palermo e Trieste. Sono stati pubblicati ampi manuali e dizionari, si formano, nelle scuole interpreti, dei traduttori in simultanea, si scelgono tesi di laurea e gli udenti, in buon numero, decidono di imparare la Lis per proprio arricchimento culturale. Dal 1993 (Tg4) e 1994 (Rai Uno) sono trasmessi i primi telegiornali con l’interprete che traduce in Lis (dal 1995 anche il discorso di fine anno del presidente della Repubblica) e questo, insieme ai dizionari, determina l’inizio di un primo processo di standardizzazione della lingua.

Doverosamente sparisce il tradizionale, ma sbagliatissimo, termine «sordomuti». La Volterra dice che sarebbe come usare il termine «ciecoanalfabeta» per i non vedenti, solo perché si servono dal Braille per leggere e scrivere. «Linguisti, psicologi e filosofi – continua – come Carlo Cecchetto dell’Università Milano-Bicocca, Sandro Zucchi dell’Università degli Studi di Milano, Anna Cardinaletti alla Ca’ Foscari a Venezia e Caterina Donati all’Università di Roma La Sapienza stanno indagando gli aspetti grammaticali e sintattici, stimolando l’organizzazione di corsi Lis, la preparazione di tesi di laurea e dottorato. Esplorazioni approfondite dei componimenti poetici in Lis sono state condotte dai compianti Tommaso Russo Cardona ed Elena Pizzuto presso il Cnr. Molto resta ancora da fare, ma gli studi hanno dimostrato ancora una volta che la ricerca teorica può avere importantissime ricadute sul piano applicativo e incidere in ambito sociale ed educativo. Soprattutto, gli studi sulla Lis hanno messo in evidenza il valore di identità che le persone sorde attribuiscono oggi alla loro lingua».

Massimo Piattelli Palmarini
Fonte: corriere della sera 26 settembre 2011

A Montecitorio
La proposta in discussione
La proposta di legge sulla Lingua dei segni italiana (Lis) risale alla XIII legislatura (1996-2001), ma si è arrivati alla approvazione di un testo soltanto a fine 2010, in Senato. Quindi è iniziato l’esame alla Camera, in commissione Affari sociali. Il testo ora indicato come «Proposta di Legge C. 4207», messo a punto da un comitato ristretto e approvato dalla commissione di Montecitorio in seduta plenaria il 26 luglio, è ritenuto in contrasto con la Convenzione Onu sui diritti dei disabili, poiché ignora la natura identitaria della Lis e la riduce a puro strumento di supporto dei sordi.

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