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La Gallaudet University degli Stati Uniti insegna ai sordi italiani a essere protagonisti

La Gallaudet University  degli Stati Uniti insegna ai sordi italiani a essere protagonisti!

Pubblichiamo il testo del «Diario» che, il Dr Renato Pigliacampo, noto psicologo sordo, ci ha inviato quale contributo alla Storia del Silenzio.

Noi sordi non conosciamo, talvolta, il valore  etimologico e  semantico della parola utilizzata, o l’onomatopeico riferimento all’ambiente: tante parole le subiamo soltanto! Siamo in mezzo ad un  mare di parole: è un chiacchiericcio che stordisce chi ha sano l’udito, o arrossisce gli occhi come succede al sordo costretto a star  dietro al movimento rapido delle labbra e, spesso, abbiamo soggezione dei contenuti del linguaggio verbale (…). Il linguaggio dispone il pensiero e viceversa. Così ammetteva lo psicologo russo L.S. Vygotskij (foto): e se, come  accade spesso, il sordo non è in grado di rispondere all’interlocutore con  la lingua vocale, o per iscritto in modo intelligibile, l’udente – quasi sempre – soverchia la cognizione del sordo o dell’ipoacusico, e costui lo seguirà allo stesso modo dell’agnellino che sta dietro alla madre. L’udente, lupo del linguaggio, interverrà ogni qualvolta che l’agnellino/sordo tenterà di spogliare il messaggio verbale per accedere ai contenuti visuomanuali. Pertanto c’è  l’urgente necessità di un’educazione linguistica dei sordi, senza la quale ognuno di loro resterà impigliato nelle maglie della rete degli udenti che foggiano le parole verbali! Smettiamola d’essere pesciolini ingoiati, senza reagire, dalle fauci dei pescecani: dobbiamo divenire squali, ingozzarci noi di pesci psittacisti che ci circondano! Abbiamo la fortuna di sperimentare un linguaggio che ha genesi dal processo visuomanuale, ma non lo sappiamo utilizzare bene, o – taluni di noi – non ne comprendono le potenzialità, ignari di custodire un tesoro.

                   

Coloro che manipolano i sordi o gl’ipoacusici, come è abitudine chiamarli oggi, fanno tutto per tenerli sottochiave. Il fatto è che, ipotizziamolo, ne hanno un tornaconto politico o economico. La prima azione è condizionare il sordo che riveste una carica elettiva od emerge per il carisma sui simili. Il soggiogatore udente, come lo chiamo, batte sempre il tasto dell’unità dei sordi, di adoperarsi per dare forza alla voce del leader. I ‘compari’ attorno a costui, che lo supportano, non portano avanti una critica costruttiva nei confronti del  governo o delle istituzioni per la soluzione dei principali problemi a favore dei sordi. Lo Stato italiano, dopo la chiusura delle «scuole speciali» e gli studenti sordi sono stati inseriti nelle scuole residenziali, non ha preparato un corpus di specialisti formato di psicologi, di pedagogisti specializzati, di interpreti di LIS e labiali, insomma di personale qualificato per rispondere alle necessità dell’istruzione dei sordi. Il Governo è solito rispondere, quando le proteste divengono palesi al pubblico, con l’approvazione dell’«obolo» statutario annuale (v. legge 12 maggio 1942, n. 889  e 21 agosto 1950, n. 698; D.P.R. 31 marzo 1979, …) consistente di un contributo all’associazione di categoria col più numero di iscritti: e i sordi,  al   vertice dell’associazione, per non perdere benefici, o per ottenere visibilità, perseguono la politica del momento del partito di maggioranza. E i protettori,  che sono in seno all’associazione, hanno il  compito primario «dividi et impera», quando qualche tesserato ha intuito come funziona il giochetto (…).   Immersi in questa politica sociale, si continua a vivere una realtà in cui restano sconosciute le potenzialità intellettive e organizzative dei disabili sensoriali dell’udito. I sordi sono di fronte  al pagamento della tessera annuale che giova, alla fine, a chi non è sordo, che ha  l’obiettivo di visibilità politica, che mai avrebbe senza partecipazione al mondo associativo dei sordi.

La mia generazione ha dovuto sempre vedersela – più che con la propria disabilità sensoriale – con persone pretendenti di «gestire» i disabili dell’udito e della parola, senza avere il conforto, moltissime volte, d’essere ascoltati dai sordi con maggiore cultura e professionalità perché, coloro che eleggono i dirigenti sordi nell’associazione, sono ignari di «conoscere la verità», che espande le proprie radici per mezzo dell’ottima cultura e istruzione. Questo obiettivo sarà  presente solo quando la Scuola ufficiale italiana non  la smetterà di comparare il sordo al coetaneo udente, senza che si adoperi per la formazione di personale specializzato per tutti i gradi dell’ordine scolastico (cfr Scuola di Silenzio, Lettera ad una Ministro (e dintorni), Armando, Roma 2005). Per i sordi bene informati, e colti,  quel che scrivo è ovvio; per altri è offesa (sic), considerandolo un attacco all’unità della «categoria», preferendo condividere le opinioni e i suggerimenti degli “amici” che li comandano o condizionano.

Vi è chiaro tutto ciò che ho scritto? Pertanto quale potrà essere la via più efficace che sosterrà il processo socioculturale per la presa di coscienza dell’autodeterminazione? Per alcuni è comodo restare allo status quo, rimanere cioè pecore, belare ogni tanto per l’abuso del padrone di averle troppo munte. Sono comportamenti di taluni che, incoraggiati dagli udenti tutori, si prendono la briga – con tutte le peggiori azioni, senza dimenticare la menzogna costruita a tavolino e altre sguaiatezze –  di emarginarli dal sacro Tempio. Sono considerati   blasfemi che puntano i fucili sui petti dei presunti Protettori udenti o di taluni loro compari sordi!

La Gallaudet University, all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, non ha insegnato nulla alla comunità dei sordi italiana? Le giovani generazioni d’oggi sanno poco, o nulla di quel che avvenne aldilà l’oceano atlantico, nell’unica Università di sordi al mondo, non lontano dalla Casa Bianca, Washington, dimora del Presidente degli Stati Uniti. Il consiglio di amministrazione di quell’Università infatti, a parità di titoli professionali e di anzianità di servizio, preferì affidare, incautamente, il rettorato ad una docente udente, la quale – per parlare con  gli studenti e ascoltare le loro istanze – si affidava al servizio di un interprete. I sordi iniziarono a protestare, a marciare verso la sede del Presidente degli Stati d’America addirittura! Questa storia «rivoluzionaria» insegna qualcosa a sordi italiani? Io penso di sì. La prima è il rispetto delle nostre capacità culturali; la seconda è la dignità d’essere noi gli artefici del nostro destino, vale a dire i protagonisti. Noi, persone capaci, dobbiamo decidere la via da prendere per dare l’ostracismo ai pregiudizi e alle oppressioni! Altro che «assistenti personali» chiamati a servirci, che si sono autopromossi adducendo che «i sordi hanno bisogno di udenti»!

Conclusione  sulla vicenda dei sordi  statunitensi di trent’anni fa. Loro ci insegnano che è un diritto ribellarsi contro l’abuso di chi si è catapultato, d’improvviso, al vertice di un’istituzione per «governarti»: e non sono come tu sei, cioè  non sono sordi e si spacciano per tuoi protettori – è un sacrosanto diritto di ribellione per (ri)chiamare, in prima fila, i forti e i coraggiosi. Come erano i nostri Padri Fondatori.

Renato Pigliacampo – nw143 – 27 settembre 2012

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Renato Pigliacampo

 

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