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Francesco D’Amico. Attore sordo

"Sul palco nessun limite" Francesco ci sente benissimo
Trent’anni, attore di teatro con un piccolo particolare: D’Amico è sordo dalla nascita Un difetto? No, un punto di forza. Ecco perché

L’unico posto in cui sono veramente libero di vivere le mie emozioni è sul palco: solo lì sento che i miei limiti possono essere davvero superati e dimentico l’indifferenza del mondo esterno. Avere una telecamera davanti mi da stimolo necessario per poter ascoltare quello che ho dentro e per trasmetterlo agli altri".

Se si potesse dipingere la tenacia, probabilmente avrebbe il suo volto. Francesco D’Amico ha 30 anni, vive a Roma, di professione fa l’attore e ha una particolarità: è sordo sin dalla nascita. Ha lo sguardo intenso e attento di chi ha tanto da dire, ma anche da cogliere. In lui tutto parla: le espressioni del volto, i movimenti del corpo e ovviamente le mani, che tagliano l’aria come in una danza.

Sì, perché per raccontarsi Francesco preferisce utilizzare la Lingua Italiana dei Segni (LIS) piuttosto che la voce ("Anche se posso parlare, la LIS è più naturale per me"). Insieme all’attrice udente Giuditta Cambieri forma da tre anni la coppia dei Diversamente Comici e porta sui palchi di tutta Italia esilaranti spettacoli di cabaret aperti al pubblico sordo e udente: non un teatro sociale, ma un vero e proprio lavoro dello spettacolo per tutti.

Dopo varie apparizioni televisive, il duo ora è a lavoro su una nuova pièce teatrale, La città dei sordi, che dal 27 novembre al 2 dicembre debutterà al Teatro Due di Roma con l’obiettivo di abbattere i pregiudizi a colpi d’ironia. È durante le prove di questo spettacolo che conosco Francesco e Giuditta per la prima volta.

Nella sala si respira un’atmosfera rilassata e giocosa: gli attori sordi e udenti si esercitano a usare sia la LIS che le parole. A volte scoppiano a ridere, soprattutto quando qualche udente cade in vere e proprie gaffes in lingua dei segni. Francesco è alla mano, sorridente e ha una grande voglia di comunicare.

Di cosa parla il nuovo spettacolo?
"La città dei sordi è una città invisibile all’interno di quella degli udenti. Lo spettacolo è un contenitore di storie diverse e vuole essere uno spunto di riflessione su alcuni aspetti della quotidianità delle persone sorde. L’idea è quella di rendere in qualche modo "disabili" gli udenti, con ironia".

Perché la convivenza tra questi due mondi è difficile?
"Il problema è che siamo immersi nei pregiudizi, sia tra gli udenti che tra i sordi. Gli udenti spesso non capiscono la sordità, si sentono in imbarazzo e scappano. Alcuni sordi, da parte loro, credono che conoscere la LIS sia l’unica condizione per poter essere un "vero sordo". Noi cerchiamo di sfatare alcuni luoghi comuni e lo facciamo ridendoci su. Personalmente mi sento come se avessi gli sci: ho una gamba nel mondo dei sordi e una in quella degli udenti. L’importante è non cadere, ma andare avanti in equilibrio. A volte mi capita di incontrare registi impauriti dalla mia sordità, spesso chiedono aiuto agli assistenti per comunicare. Io invece cerco di essere sempre molto diretto: da solo ce la posso fare, non sono un "povero sordo". Voglio che pensino a me come a un giapponese, che ha studiato recitazione e che vuole lavorare qui".

Come nasce in te la voglia di diventare attore?
"È un bisogno maturato nel corso degli anni a causa di gravi problemi comunicativi che ho avuto in famiglia sin da bambino. I miei genitori sono entrambi sordi e non conoscono la LIS: la comunicazione era difficilissima, avveniva attraverso tentativi mimico-gestuali e la labiolettura. Persino chiedere banalmente un bicchiere di latte o di acqua era un problema. Questo ha determinato in me un grande senso di frustrazione e di rabbia. A scuola le cose non andavano meglio: volevo integrarmi con gli altri bambini, però non riuscivo a comunicare e rimanevo escluso. Il percorso dalla logopedista, per quanto utile, mi ha creato delle crisi di identità. Mi sentivo poi estremamente responsabile: quando non capivo due persone che parlavano, non osavo chiedere spiegazioni per paura di disturbarle. Ho finito così per chiudermi nel mio mondo interiore. A 18 anni, grazie al suggerimento di alcuni amici, ho iniziato a studiare la lingua dei segni: poco a poco ho recuperato tutta la mancanza di comunicazione del passato. Continuavo però a sentirmi parziale e insoddisfatto. Un giorno, avevo 22 anni, stavo girando in motorino e ho visto il manifesto di una scuola di teatro. Mi attraeva, ma non ero convinto di poter accedere a quel mondo, mi sembrava sconfinato e un po’ mi spaventava. Quando finalmente ho trovato il coraggio, sono entrato all’Istituto Teatrale Europeo di San Lorenzo a Roma".

Com’è stato l’impatto con questa realtà?
"Inizialmente ho incontrato grandissime difficoltà. Ero l’unico sordo in mezzo agli udenti, volevano solo che parlassi, mi sentivo osservato e capivo che pensavano: "Vabbé ma lui è sordo, è chiaro che non ce la può fare". Questo ha aumentato la mia frustrazione. Anche leggere i copioni mi innervosiva. Poi mi è stato permesso di avere la doppia possibilità di parlare e segnare: all’inizio mi vergognavo, è stata una vera tortura, ma dopo è andata meglio. In quel periodo mi è capitato anche di incontrare il mondo del teatro sordo, ma sono stato criticato moltissimo, perché la mia LIS non era a un livello adeguato. Tutto questo mi ha portato comunque ad accettare i miei limiti: so che ho un determinato tipo di voce, so dove posso arrivare e questo mi ha fatto trovare la serenità. Prima mi sentivo inferiore, ora invece so cosa voglio e i miei rapporti sono molto più equilibrati e paritari".

Dopo l’accademia, in che modo è proseguito il tuo percorso?
"Alla fine del terzo anno ho ottenuto il diploma e ho avuto varie esperienze, tra workshop e spettacoli teatrali. Mi sono avvicinato poi al mondo del cinema. Ho deciso di mettermi in gioco anche in questo ambito, ma ho dovuto subito fare i conti con un grosso ostacolo. Quando, accompagnato dall’interprete, sono andato a iscrivermi alla scuola di cinema di Cinecittà, il direttore ha respinto la mia domanda. Ho chiesto spiegazioni e mi sono sentito dire che la scuola aveva già avuto un’esperienza assolutamente negativa con un sordo, per cui "mai più". Io però non mi sono arreso, ho insistito e ho fatto presente che non era detto che con me avrebbero avuto gli stessi problemi. Ho pregato per avere una possibilità, per essere messo almeno alla prova. È stato molto frustrante. Alla fine, il direttore ha ceduto e mi sono potuto iscrivere. Questo però ha gettato nel panico l’intero corpo docente che non aveva idea di come rapportarsi con me. E tra loro, anche Giuditta, che insegna movimento del corpo, era molto preoccupata. Tuttavia, dopo l’imbarazzo iniziale, si è accorta che la sordità mi dava poteri in più rispetto agli altri: più concentrazione e più propensione all’ascolto. Alcuni esercizi, difficili per i miei compagni, a me risultavano semplicissimi. Alla fine, la mia presenza in classe è diventata un valore aggiunto che addirittura facilitava il lavoro di tutti. Giuditta è rimasta colpita e le cose sono andate sempre meglio".

Come siete arrivati al progetto dei Diversamente Comici?
"L’idea è nata al bar, davanti a un caffè in un momento di pausa tra una lezione e l’altra. Quel giorno Giuditta, che ha lavorato per anni nel mondo del cabaret, mi disse che stava pensando di unire sul palco il mondo dei sordi e quello degli udenti. Io però non conoscevo nulla di comicità: i tempi, le battute, tutti i giochi che ci sono sotto. L’ho vissuta un po’ come una sfida. Abbiamo lavorato sodo e poi, dopo varie esibizioni, ci siamo rivolti a un agente per avere un trampolino di lancio: è stato così che siamo arrivati a Domenica In, con Lorella Cuccarini, un’emozione fortissima. Dopo l’apparizione in televisione, siamo stati chiamati da teatri e associazioni di tutta Italia. Abbiamo montato lo spettacolo Se mi ami fammi un segno… ho finito le pile! e iniziato una lunga tournèe in varie città, approdando anche sul palco di Zelig a Milano. Nonostante il teatro fosse sempre pieno, non siamo riusciti però ad arrivare a Zelig Off in televisione. Questo perché c’era il timore che la presenza di un sordo in televisione determinasse un calo di ascolti. Io personalmente credo che fossero paure infondate".

La puntata pilota de L’Amore è sordo, andata in onda il 21 agosto a mezzanotte su Raiuno, ha avuto un ottimo riscontro: 7,35% di share, pari a circa 520mila telespettatori. A quando le prossime puntate?
"L’Amore è sordo è una fiction divertente e leggera che racconta la vita quotidiana di una persona sorda: la storia si ispira proprio alla mia voglia di fare l’attore per tutti, udenti e sordi. Non c’è alcun intento pietistico e, anzi, siamo lontani dalla drammaticità con la quale in genere sono trattate queste tematiche. L’obiettivo è offrire semplicemente scorci di vita normale: amori, litigi, amicizie. Ora siamo in attesa di avere notizie sull’inserimento nella programmazione Rai e poi inizieremo a girare le successive puntate".

Al di là dei Diversamente Comici, in quale direzione si orienta la tua ricerca personale?
"La scorsa estate ho avuto una bellissima esperienza entrando nel cast di Dignità autonome di prostituzione di Luciano Melchionna. È uno spettacolo molto interessante e diretto, senza giri di parole, per certi versi molto crudo: l’occasione di lavorare con questo regista mi ha dato la possibilità di crescere. Non mi dispiacerebbe poi l’idea di cimentarmi in ruoli "cattivi": sento che adesso sono pronto a farlo, forse proprio perché in passato ho vissuto la rabbia e la sofferenza sulla mia pelle. Sto attraversando un periodo in cui mi concentro molto sulle mie emozioni. Se mi capita scrivo, ovunque prendo e raccolgo spunti, che potrebbero trasformarsi in qualche idea per un possibile progetto mio a teatro. Mi riconosco nel mio ruolo di attore, perché questo è il mio modo per trasmettere quello che provo e per lasciare la mia impronta"

Si ringrazia l’interprete Arianna Testa

Vanessa Cappella – Fonte: repubblica.it – nw145 – 3 ottobre 2012

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