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Deafhood

Deafhood di Renato Pigliacampo. Il termine deaf (sordo) e hood (stato, genere, condizione): e di fatto d. fa riferimento ad una condizione d’essere  sordo, in modo consapevole e riconosciuto come tale da persone  esterne. Nella lingua italiana non c’è parola adeguata più esplicita  se non che “sordità”. Di fatto d. ha un significato più esteso, sociologico e non solo psicologico e linguistico: in genere sta ad indicare che il soggetto, con deficit d’udito, appartiene ad una cultura peculiare con propri valori di riferimento, simboli, segni, centri socio ricreativi e soprattutto il collante che li riunisce è una lingua utilizzata dal gruppo.

Inizio. L’ideatore di questo termine è Paddy Ladd, sordo egli stesso, coordinatore del Center for Deaf Studies dell’Università di Bristol. Dal punto di vista sociologico d. si oppone  adeafness perché si prefigge di non focalizzare l’attenzione  solo sulla mancanza uditiva, bensì sulla accezione positiva d’essere sordo e sulla sordità come una condizione  che esclude d’essere curata come se fosse una malattia. Per questo Paddy Ladd afferma che la sordità è una condizione culturale che va «spiegata» alla comunità sei sordi perché è centro di risorse culturali e linguistiche. D. va perciò interpretato valutando la sordità   come se gli individui appartenessero ad una minoranza etnico-linguistica,  per questo motivo molti la avvicinano al multilinguismo e alle culture minoritarie. Pertanto d. si oppone a deafness che esamina la sordità nell’ambito della disabilità e/o della malattia, impostando una programmazione di recupero secondo la causa che l’ha provocata (genetica, accidentale, infettiva).

Progresso sociologico. Paddy Ladd si convince che le comunità (qui bisogna specificare a che cosa ci riferiamo per comunità, NdA) dei sordi devono essere rese capaci ad operare con gli stessi principi e piani politici delle altre minoranze linguistiche! E su questa considerazione l’autore afferma che bisogna valorizzare il linguaggio specifico, ossia visuomanuale, dei sordi inserendolo nella realtà della partecipazione politica, allo stesso modo di come è avvenuto per i popoli Gallesi, Catalani, Baschi e altri. Su queste considerazioni Paddy Ladd scrive che «bisogna favorire lo sviluppo di una classe intellettuale e di professionisti sordi». Solo in questo modo si uscirà dall’isolamento culturale. Porta esempi quali: i neri del Sud Africa, i neri Americani, gli Aborigeni Australiani (…).

Lingua dei segni per gli udenti. Paddy Ladd candidamente (senza nascondere la difficoltà che comporta) afferma che le persone udenti devono imparare la lingua dei segni, cioè un modello di comunicazione bilingue. L’autore è convinto che l’oralismo sia un abuso compiuto su tutti i bambini. L’I.C. dovrebbe essere consentito col consenso informativo della  persona sorda, ossia del soggetto interessato. E’ evidente che Ladd apre un acceso dibattito su tematiche complesse anche perché, secondo otochirurghi e neurologi, l’I.C. va eseguito nei primi anni di vita quando, a loro giudizio, il sistema neurale e gli apparati sono più afferenti alla modalità percettiva con possibilità maggiore di adattamento. Forse la  proposta dello studioso sordo inglese ha maggiore  ascendenza sociologica sulla libertà di ciascuno di noi per essere se stesso secondo la pluralità dei linguaggi e aprirsi alla multi modalità delle forme di comunicazione: è in questo contesto che, la  lingua  dei segni, deve essere considerata e appresa dagli udenti per  conoscere e il pensiero dell’individuo sordo cestinando pseudo esperti sia di linguaggio visuomanuale sia di psicolinguistica.
Renato Pigliacampo – lc001 (2013)

VEDI
Paddy Ladd, Understanding Deaf Culture: In search of Deafhood, (Verso la comprensione della Cultura sorda: alla ricerca del Deafhood), Multilingual Matters Ltd, Clavedon, UK, 2003.
Leonardi Simona, Elda Morlicchio, La filologia germanica e le lingue moderne, il Mulino, Bologna 2009.
Grosiean Francaois, Life witth Two Languages. An Introduction to Bilinguism, Cambridge, Harvard University Press 1982.
Sola Silvana, Terrusi Marcella, La differenza non è una  sottrazione, Edizioni lapis, 2009.

PER SAPERE DI PIU’
François Grosjean

Paddy Ladd

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«Bisogna avere il coraggio di amare il Silenzio, scritto con la S maiuscola, perché dietro, tout-court,  c’è tutto un mondo di persone “meravigliosamente speciali”, vale a dire bambini e adulti che non possono udire intelligibilmente la parola tramite la percezione acustica. Nel corso dei secoli, a seconda dei momenti, sono stati indicati: sordomuti, sordi, sordastri, non udenti, maleudenti, anacusici, ipoacusici, audiolesi, deboli d’udito, duri d’orecchio, cofotici. Io li chiamo semplicemente persone del Silenzio, miei fratelli: e so che,  pronunciandone il nome, mi attribuisco il merito di far parte di quel mondo migliore, che procede con una marcia in più.» (Renato Pigliacampo da Pensieri e riflessioni sul Silenzio)
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