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Ricordando Mons. Antonio Lanfranchi

Profonda emozione oggi pomeriggio (19 febbraio 2015, n.d.r.) in Duomo a Modena, alla solenne e toccante cerimonia funebre per l’arcivescovo monsignor Antonio Lanfranchi, che si è spento nel primo pomeriggio di martedì, stroncato da una leucemia diagnosticata la scorsa estate.
Migliaia di fedeli, giunti non solo dal Modenese, hanno seguito la Messa nella cattedrale gremita e davanti ai maxischermi allestiti in piazza Grande. A presiedere la celebrazione è stato il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo metropolita di Bologna, presidente della Conferenza episcopale emiliano romagnola, insieme a 23 vescovi e quasi duecento sacerdoti, di cui 50 della diocesi di Piacenza – Bobbio (la terra di origine di monsignor Lanfranchi) e 30 della diocesi di Cesena Sarsina, che il presule aveva guidato prima di essere designato a Modena.
Numerose le autorità presenti: fra loro il prefetto Michele di Bari, il sindaco e presidente della Provincia Gian Carlo Muzzarelli, la presidente del Consiglio Comunale Francesca Maletti, il questore, vari sindaci, il presidente nazionale dell’Azione Cattolica Matteo Truffelli, e don Andrea La Regina, responsabile di Caritas italiana per le emergenze, che ha operato nel Modenese in particolare a seguito del terremoto del 2012. Tantissimi i gonfaloni di Comuni e istituzioni: sul pontile del Duomo svettava anche quello della Ferrari, con il celebre Cavallino rampante.
Ad apertura della Messa, monsignor Giacomo Morandi, vicario generale della diocesi, ha letto il telegramma arrivato da Papa Francesco, tramite il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano: Papa Francesco ricorda “il generoso e fecondo ministero” di monsignor Lanfranchi, “ringrazia il Signore per i frutti spirituali del suo ministero di guida e di accompagnamento del Popolo di Dio e innalza fervide preghiere di suffragio per la sua anima. “ Nel telegramma, il Pontefice “invoca per il defunto pastore il premio eterno promesso ai fedeli servitori del Vangelo” e imparte la sua benedizione apostolica ai familiari, alla diocesi e a tutti i fedeli.
E’ stato monsignor Luciano Monari, vescovo di Brescia (originario di Sassuolo), a pronunciare l’omelia. Monsignor Monari, quando divenne vescovo a Piacenza, chiamò monsignor Lanfranchi accanto a sé come vicario generale, incarico che ha ricoperto dal 1996 al 2003, quando poi fu nominato vescovo a Cesena.
Per monsignor Monari, l’arcivescovo scomparso, che lui ha chiamato affettuosamente “Don Antonio”, è stato essenzialmente una personalità ecclesiale, “quella di una persona che nella appartenenza e nel servizio alla Chiesa ha trovato tutto il senso della sua vita. L’animo – ha aggiunto – è sempre stato lo stesso, quello di una persona che poneva intelligenza e cuore al servizio della Chiesa, per l’edificazione di comunità cristiane autentiche attraverso la formazione di personalità cristiane mature”. E poi si è soffermato sul mistero della sofferenza e della malattia, la fragilità del nostro corpo: “Quel corpo Dio non lo può, non lo vuole abbandonare nella morte – ha detto monsignor Monari -. Pur appartenendo al mondo che passa, il corpo di un credente porta in sé la somiglianza con la vita di Cristo e quindi promette il compimento della vita con Cristo”.
Prima che si concludesse il rito, monsignor Morandi ha ricordato nuovamente un passaggio del testamento che l’arcivescovo aveva redatto il 14 settembre scorso: “Il filo d’oro che ha unito la mia vita è l’amore misericordioso di Dio e solo quello. Ringrazio il Signore di non avermi mai abbandonato”. “Il suo magistero più alto – ha aggiunto il vicario – è stato quello di questi mesi, quando ha offerto la sua malattia per la comunità”. Dopo l’ultima benedizione, mentre le campane della Ghirlandina suonavano a morto, il feretro di monsignor Lanfranchi è uscito dalla porta centrale del Duomo, portato a spalla da otto sacerdoti fino in via Sant’Eufemia, accanto all’arcivescovado: di là è stato quindi portato al cimitero di San Cataldo, dove resterà provvisoriamente, in attesa della tumulazione nella cripta del Duomo di Modena, accanto alla tomba di San Geminiano, dove riposano anche altri pastori della Chiesa modenese.
Stefano Marchetti
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Mons. Antonio Lanfranchi
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«La storia non è utile perché in essa si legge il passato, ma perché vi si legge l’avvenire» (M.D’Azeglio)
«Bisogna ricordare il “passato” per costruire bene il “futuro”» (V.Ieralla)
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