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Conosciamo meglio Carlo Michele de L’Epèe, «Apostolo dei sordomuti»

Mi è capitato fra le mani, frugando nei faldoni accatastati nella Biblioteca  “Gerolamo Cardano” di Milano, un fascicolo «estratto dal periodico “La scuola cattolica”», dal titolo: «La vita, le opere e la fama di Carlo Michele De L’Epèe, detto L’Apostolo dei Sordomuti», pubblicato nel 1907 e redatto da G.B. Picozzi, insegnante nel Pio Istituto Sordomuti di Milano nei primi anni del XX secolo, e naturalmente ho letto “d’un fiato” quella interessante biografia dell’Abate francese, che è riconosciuto come il vero promotore dell’istruzione dei sordomuti.
Nella biografia del De L’Epèe (1712-1789), il Picozzi,  narra che l’abate francese ebbe difficoltà ad accostarsi alla carriera ecclesiastica, «… per le sue idee gianseniste», quindi  studiò legge, divenne avvocato, e  poi il vescovo di Troyes lo chiamò nella sua diocesi e gli conferì il canonicato e il titolo di abate. Dopo altre vicissitudini, gli furono revocate le giurisdizioni sacerdotali, ma fu poi, nel 1753,  che gli furono presentate due fanciulle sordomute da istruire, e da quel momento egli iniziò a interessarsi del problema di chi era sordomuto. Nulla sapendo dei tentativi fatti da altri nell’istruzione dei sordomuti, capì tuttavia che le due ragazze, come altri sordomuti, avevano un loro linguaggio. Cuore, ingegno e la ricchezza di famiglia lo aiutarono a estendere le sue cure a un maggior numero di sordomuti. Formò a Parigi, “a proprie spese e fatiche”, una scuola per un centinaio di sordomuti, ma non riuscì ad avere dal Governo francese dei sussidi, era ammirato da tutti, anche dai governanti di altre nazioni, ma le sue sole risorse economiche non bastavano. Finalmente nel 1785 ottenne da Luigi XVI una cospicua somma e un convento dove trasferirvi le sue scuole. Così tramite il De L’Epèe  furono fondati istituti per l’educazione dei sordomuti in tutta Europa, e la Francia, dopo la morte del De L’Epèe, avvenuta  il 23 dicembre 1789,  imprimette alla scuola  dell’«ottimo cittadino» il carattere di nazionale, ponendo il nome del fondatore fra quelli dei benemeriti della Francia.
Il De L’Epèe riconosceva la superiorità del “metodo orale”, a quello dei gesti, poiché «… la lingua parlata è l’unico mezzo per rendere il sordomuto alla società», ma riteneva che l’insegnamento orale fosse più lungo e dispendioso che quello della mimica. E per non limitare le sue cure a pochi fortunati, lasciando gli altri nell’ignoranza, si appigliò al metodo mimico, che richiedeva minor tempo e minore spesa, ma i gesti naturali non bastavano, ed escogitò i gesti metodici, che furono poi perfezionati dal suo successore, il reverendo Ambrogio Sicard.
Il De L’Epèe non deve certo la sua fama alla creazione dei gesti metodici, e nemmeno alla sua abilità di maestro, ma unicamente all’aver egli voluta e raggiunta la redenzione e l’emancipazione dei sordomuti, tenuto conto di com’era la condizione di chi non udiva prima e di come si è evoluta in seguito. Quindi è stato il De L’Epèe a voler combattere i pregiudizi, poiché erano anche i dotti, e gli stessi filosofi, che fino allora avevano negato ai sordomuti l’intelligenza, mentre i teologi non riconoscevano loro neppure la fede.
Il De L’Epèe ha sempre ritenuto la superiorità del metodo orale, per redimere i sordomuti, ma ai suoi tempi, essendo un metodo troppo lungo e dispendioso per cui, considerando che «… i ricchi hanno i mezzi per cercare e trovare qualcuno che li istruisca meglio», si accontentò saggiamente di dare a tutti i sordomuti un’istruzione rudimentale ma indispensabile. Per questo motivo, conclude il Picozzi, «Al De L’Epèe, fondatore del primo istituto pubblico e gratuito pei sordomuti, è dovuta la nuova era civile degli stessi, ed una delle più gloriose conquiste della civiltà».
Marco Lué, 2016
 
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“Storia dei Sordi. Di Tutto e di Tutti circa il mondo della Sordità”, ideato, fondato e diretto da Franco Zatini

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