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Politiche per la disabilità: tra Convenzione Onu e reali azioni, gli italiani attendono

Tra programma d’azione biennale per la disabilità  e novità legislative, cosa manca in Italia per la piena partecipazione delle persone con disabilità?

Come spesso diciamo, rispetto alla disabilità e alla condizione dei disabili in Italia, nel nostro Paese non sono le leggi a mancare – leggi che, da sole, tuttavia, non possono fare molto – quanto la loro applicazione in una visione che abbracci l’insieme, unita a una reale volontà e a risorse adeguate.
Partendo anche da questa considerazione, ci sembrano interessanti le riflessioni pubblicate in questi giorni da Daniele Regolo sul blog di Jobmetoo rispetto ai recenti appuntamenti di discussione, sia nazionali che internazionali, a tema disabilità.

La Conferenza nazionale sulla disabilità, tenutasi a Firenze il 16 e 17 settembre scorsi, ricorda Daniele Regolo, è stata chiamata a dare una svolta, attraverso l’elaborazione del nuovo Programma d’azione biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità, all’incompiuto programma precedente (quello scaturito dalla Conferenza di Bologna del 2013).
Affatto slegato al tema, anche il recente incontro a Ginevra, in cui l’Italia è stata chiamata a dare al Comitato ONU sui diritti delle Persone con disabilità precise risposte sulla reale applicazione della Convenzione. A unire i due temi, purtroppo un filo rosso di croniche deficienze che impediscono alle persone con disabilità proprio ciò che invece entrambe queste azioni hanno come obiettivo: la reale partecipazione alla vita sociale ed economica della collettività. La causa di questi risultati si ravvede nella ancora non superata scarsità di risorse, ma anche dalla mancanza di una visione ancora unitaria e dalla eccessiva suddivisione di competenze.

Appare quindi didascalico discutere dei vari temi affrontati a Firenze (procedure per il riconoscimento dell’invalidità, impulso a garantire una vita indipendente, diritto alla riabilitazione, inclusione scolastica e lavorativa), che da sempre richiedono risposte sempre più certe e precise, se non si ha la garanzia che essi vengano affrontati come la comunità delle persone con disabilità (e non solo) richiede.

Interessanti anche le riflessioni che Daniele fa rispetto al tema del lavoro, per il quale – afferma –  sembra prematuro poter esprimere un giudizio sulle modifiche apportate dal Jobs Act. In particolare, la chiamata nominativa e la revisione integrale degli incentivi, su tutti, rappresentano i punti cardine di una revisione che vuol restituire (in un ultimo tentativo?) alla Legge 68 la sensatezza del suo bellissimo slogan “la persona giusta al posto giusto”. Il Decreto 151, che rende esecutive molte novità del Jobs Act, non è tuttavia ancora del tutto esaustivo, mancando alcune linee guida in materia del collocamento mirato. Appare poi sempre più cogente la necessità di diffondere la conoscenza – ma soprattutto la cultura – dell’accomodamento ragionevole. Ad oggi, in Italia non è ancora riconosciuta la figura del Disability manager, che già opera nel pubblico e nel privato di mezza Europa. Un ruolo, questo, che sarebbe perfettamente integrabile nel discorso del Collocamento mirato, ricorda Daniele Regolo.
Infine, non si dimentichi che la raccolta dei dati (il Jobs Act istituisce la Banca dati del Collocamento mirato) è uno dei primi punti da cui partire: senza cifre certe (e la VII Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge 68 è lì a dimostrarlo), non possono esserci politiche certe.
Staremo a vedere.

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Post in collaborazione con Jobmetoo

Redazione. Fonte: disabili.com

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