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L’artista sordomuta Titina

Lutto a San Gregorio Armeno: addio a Titina Ferrigno, artista dei fiori

È morta (25 marzo n.d.r.) Concetta Ferrigno, istituzione di via San Gregorio Armeno. Artista dei fiori in cartapesta aveva trasformato la sua passione in un lavoro. Sordomuta dalla nascita amava comunicare con la sua arte e accoglieva turisti e cittadini nella sua allegra bottega
nel cuore del centro storico, in via San Gregorio Armeno la strada così famosa per l’arte presepiale. Titina Ferrigno, vedova e senza figli era la zia del maestro presepiale Marco, sorella dell’indimenticato Giuseppe. Avrebbe compiuto 95 anni il prossimo 2 giugno.

«Mia zia era una donna vitale – racconta il nipote Marco -, la sua bottega di fiori colorati era una tappa per tutti quelli che oltre all’arte presepiale volevano ammirare e comprare i particolari fiori in carta. Spero che la sua creatività non vada dimenticata e che la sua arte possa continuare ancora».
Emanuela Sorrentino. Fonte: il mattino.it

UN ALTRO PEZZO DI NAPOLI CHE VA VIA
Addio a Titina Ferrigno l’ultima signora dei fiori di carta. Facciamo che la sua arte non sia dimenticata

Ciao, Titina cara, ciao.

Ero venuta l’ultima volta a sedermi con te qualche mese fa, nel corso di uno dei tanti cortei identitari che seguo per il giornale, a trovare riposo su una sedia a fianco alla tua, tra mille fiori di carta colorati fatti con le tue manine da ottantenne, con i tuoi occhi che parlavano senza che tu potessi farlo, a comunicare a gesti, con parole strozzate senza suono, nella tua casa e bottega, a via San Gregorio Armeno, dove hai vissuto quasi tutta la tua vita, con i tuoi 11 fratelli.

Avevamo scritto di te tempo fa sul mio giornale, grazie ad Ada Palma, che come me aveva sentito l’attrazione per quella tua bottega spoglia eppur così dignitosa, ultimo pezzo di storia di una famiglia, i Ferrigno, che in quella strada ha più vite e più storie.

Raccontava, Ada, nella sua storia su queste pagine che Titina non sapeva parlare, ma che sapeva come tutti i sordi leggere le labbra. Le aveva mostrato, come faceva con tutti i suoi visitatori più appassionati, il suo tesoro più grande: il medaglione che Titina portava al collo, con le foto della sua famiglia. Avevano comunicato così.

“La dignità: quella leggo nei suoi occhi, seppur non ci conosciamo. E in un attimo mi trasporta nella sua vita, mi mostra i suoi fiori, i suoi ricordi e le foto dei suoi nipoti che non l’ hanno mai lasciata sola. Non esce quasi mai, passa tutto il giorno a inventarsi tulipani, margherite, rose di carta che vende a soli 2 euro. In quella stanza piena di ritagli di giornali e di foto, sembra si sia fermato il tempo, lei non ha voluto cambiare nulla, nella sua vita fatta di silenzi e dei suoi ricordi, quello di suo padre e di sua madre che sin da piccola le inventarono un mestiere, quello di fare fiori, così che lei potesse essere autonoma. Una Napoli fatta di racconti di chi in un tempo lontano, nonostante non avesse quasi nulla, tramandava ancora mestieri e identità. Titina mi appare come il simbolo di un Popolo che nonostante le difficoltà decide con dignità di andare avanti. In quel frastuono di strade affollate, lei con con il suo silenzio si affaccia alla sua porta e con un sorriso invita ad entrarvi”.

Aveva scritto un ritratto davvero reale raccontando chi era Titina, Ada. E non era stata l’unica donna, in questa città, a raccontare la signora dei fiori. Quattro anni fa la fotografa Ilaria Abbiento aveva dedicato a Titina una mostra di immagini nel foyer del teatro Bellini. Una nipote che allora accompagnava nel teatro un’emozionata Titina, spiegò: “Lei è non udente dalla nascita e attraverso i fiori di carta riesce a esprimere le sue emozioni. E’ il suo unico modo di comunicare”.

Ora quel piccolo basso-laboratorio sarebbe bello se fosse trasformato ne “La casa dei fiori di Titina” per continuare ad alimentare la sua arte. Perché non solo la sua scomparsa a 93 segna la fine di un’epoca di napoletani che, soprattutto nel periodo dell’immediato dopo guerra, quello di Napoli Milionaria, sopravviveva proprio lavorando la carta come Eduardo racconta in Filumena Marturano (“Orfana di genitori, ambodue e con tre figli da crescere, andai ad abitare al vicolo San Liborio, basso numero 80, e mi misi a vendere sciosciamosche, cascettelle p’ ‘e muorte – che erano appunto casse da morto di cartone con cui i bambini di Napoli raccoglievano le offerte per i morti il 2 novembre – e cappielle ‘e Piererotta’. ‘E sciosciamosche li fabbricavo io stessa e guadagnavo quel poco per portare avanti i miei figli. Al vicolo San Liborio ebbi a conoscere donna Filumena, che, bambina, giocava ch’ ‘e tre ffiglie mieie. Doppo vintun’anno, ‘e figlie mieie, nun truvanno lavoro, se n’andaiene uno in Australia e duie in America… e nun aggio avuto cchiu nutizie. Rimanette io sola; io, ‘e sciosciamosche e ‘e cappielle ‘e Piererotta”.

Ma soprattutto sarebbe bello se si celebrasse per sempre questo piccolo tempio dei fiori finti – di carta, ma un tempo anche di seta di san Leucio – che Titina creava anche con le carte dei cioccolatini. Fiori che hanno fatto la storia di San Gregorio Armeno forse prima ancora dei pastori e dei presepi: era proprio a due passi dalla casa bottega di Titina che le monache di clausura, depositarie di questa antica tradizione, coltivavano l’arte di creare fiori. Un’arte che era finita con l’import dalla Cina di orrori in plastica, tutti uguali. Ma che a Napoli era mantenuta in vita fino a ieri da Titina Ferrigno. Non lasciamo che scompaia del tutto la sua memoria.

Lucilla Parlato. Fonte: identitainsorgenti.com
Ph Ferdinando Kaiser

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