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Dove il codice dei segni diventa la lingua di tutti

A Bengkala a causa di un gene recessivo in molti non sentono. E gli altri si adeguano. La musica può suonare nelle strade, ma i ritmi possono anche essere memorizzati per danzare.

Il segreto? Una sincronia di movimenti imparata a memoria. Questo è quello che capita in un piccolo villaggio a Nord di Bali, in Indonesia, dove ci sono persone che ballano senza mai aver sentito un suono. Donne con vestiti colorati che si muovono a ritmo di musica, esperti di arti marziali, bambini che vanno a scuola e imparano la matematica. Sono i «kolok», i sordi di Bengkala. Dalla politica ai pettegolezzi, dalle cerimonie indù, alle lezioni nella scuola locale: tutto qui è in lingua Kata Kolok. A Bengkala non sentire suoni non è un limite. C’è un idioma che non ha voce: è il Kata Kolok, che in indonesiano significa «parlare sordo», un linguaggio dei segni unico al mondo. Il Kata Kolok è il principale mezzo di comunicazione per 44 persone e per tutti gli abitanti di Bengkala. Nel villaggio la sordità è diffusissima, ma non è un problema: secondo un recente reportage della Bbc Travel, tutti parlano la lingua dei segni e si capiscono. Anche gli «enget», ovvero le persone che sentono i suoni, hanno imparato questo modo di comunicare, che si è arricchito ed evoluto con il tempo, fino a diventare una lingua ricca e complessa. La diffusione della sordità in questo villaggio dipende da un gene recessivo, il DFNB3, che è altamente diffuso nella popolazione e causa una riduzione delle cellule ciliate nella coclea. Attualmente, i non udenti sono 44 su 3000 abitanti. Queste persone, quasi tutte sorde dalla nascita e chiamate «kolok» (sorde) dai loro concittadini, sono probabilmente più fortunate delle persone non udenti che abitano in altri luoghi: nel villaggio tutte le persone, udenti e non udenti, parlano Kata Kolok. Un’esperta di questo idioma è l’olandese Connie De Vos, del Max Planck Institute, che ha pubblicato diversi articoli di sociolinguistica e ha studiato l’idioma sul campo. La lingua dei segni è unica nel suo genere ed è studiata da linguisti. Sul sito del Max Planck Institute si legge che la lingua è grammaticalmente distinta e storicamente non correlata alle varietà del linguaggio dei segni comunemente usato in altre parti di Bali e Indonesia.

In un servizio di 20heures France, intitolato «A Bengkala il silenzio è d’oro», si vedono persone che acquistano shampoo, bambini che leggono, studiano e si aiutano tra di loro. A scuola c’è la traduzione simultanea nella lingua dei segni per «evitare il sentimento di esclusione», come dice il maestro di scuola primaria Made Mudiarsa. L’80 per cento della popolazione parla la lingua dei segni e la percentuale di persone non udenti a Bengkala è del 15 per cento più elevata della media mondiale. Ketut Kanta, il presidente dell’Alleanza per i sordi di Bengkala, spiega ai visitatori la storia di questo piccolo paese. Nel villaggio è diffusa la credenza che la sordità sia causata da una maledizione. Si narra che ci sia stata una lotta tra due persone con poteri magici che si sono maledette tra loro, augurandosi vicendevolmente di diventare sorde. La maggior parte dei Kolok vive di agricoltura e allevamento. Molti sono tradizionalmente impiegati nella sicurezza o come becchini. All’esterno del villaggio, gli abitanti non udenti hanno difficoltà comunicare e a vendere i loro prodotti nei mercati locali. Qui, invece, la popolazione ha deciso di adattarsi e di vivere facilitando la vita alle numerose persone non udenti: un simbolo di inclusione sociale.

Sara Mauri. Fonte: ilgiornale.it

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