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Ferdinando III. Granduca di Toscana ed i Sordomuti (Newsletter della Storia dei Sordi n.198 del 7 marzo 2007)

. “…Una delle Opere pie, alle quali con maggiore amore dedicò le sue cure Ferdinando III fu la Congregazione di San Giovan Battista, sopra il soccorso dei poveri. Fu fondata questa Congregazione da pie persone nel secolo XVIII, allo scopo di provvedere di vestiario e di pane le famiglie più miserabili di Firenze, ed inoltre di somministrare i letti per la separazione dei maschi dalle femmine.

I fondi occorrenti alla Congregazione per queste opere di pietà erano in gran parte largiti dalla munificenza del Sovrano, e la congregazione stessa si componeva di settantadue deputati scelti nel ceto dei nobili, dei preti e dei negozianti.

Un’altra delle gravi preoccupazioni del granduca Ferdinando, erano gli spedali, i quali tanto per mutare, anche allora non eran tenuti come quei luoghi di tristezza richiedevano, e nei quali, secondo il solito, si commettevano abusi d’ogni genere, venendo meno così a quell’intento di carità che ne dovrebbe essere il principale carattere. Perciò con Motuproprio sovrano del 2 settembre 1816 fu creata la I. e R. Deputazione degli spedali e luoghi pii del Granducato di Toscana, che venne poi dichiarata permanente con l’altro Motuproprio del I7 febbraio 1818. Questa deputazione ebbe in principio l’incarico di riordinare e definitivamente sistemare i patrimoni degli spedali ed altri luoghi pii; ed in seguito, cioè il 17 gennaio 1819, fu ad essa esclusivamente affidata la direzione centrale dei medesimi e da lei dovevano dipendere e direttamente corrispondere, per tutto ciò che concerneva l’amministrazione e la disciplina, i commissari, i rettori ed altri capi dei suddetti pii stabilimenti.

Per provvedere sempre più al sollievo delle classi bisognose, l’animo pietoso del Sovrano aveva già fondato col Motuproprio del 21 novembre 1815 l’Ospizio della Maternità nel recinto stesso dello Spedale degli Innocenti. Quest’Ospizio ebbe per precipuo scopo il procurare abili levatrici in tutto lo Stato; e per raggiungere l’intento, ogni comune fu obbligato di mantenere a turno per diciotto mesi in detto Ospizio, una donna dell’età dai venti ai trent’anni che sapesse almeno “leggere benissimo per esservi istruita da un professore d’ostetricia” nella teorica e nella pratica.

Nell’Ospizio della Maternità si montarono quattro letti, unicamente e costantemente pronti per le donne partorienti, le quali si ricevevano nel nono mese inoltrato della gravidanza, affinché le alunne potessero osservare un maggior numero di casi pratici. Il professore incaricato di istruire le alunne levatrici, aveva l’obbligo di assistere gratuitamente le partorienti povere del quartiere di Santa Croce, e di condurre seco alle loro case, a turno, alcune delle alunne stesse.

I tre corsi per la istruzione completa eran di sei mesi ciascuno; ed al termine dei diciotto mesi le alunne venivano pubblicamente esaminate davanti al Collegio medico, il quale conferiva, alle meritevoli, il diploma di potere esercitare la professione d’ostetrica, assegnando altresì un premio in danaro alle più abili.

Alle lezioni d’ostetricia potevano intervenire anche quelle che non erano ammesse come convittrici, purché sapessero legger bene.

Le alunne che convivevano nell’Ospizio dovevano essere in numero fisso di dodici; ed erano sorvegliate da una “Maestra levatrice” che dimorava nell’Ospizio stesso.

Le donne incinte che volevano essere ammesse all’Ospizio della Maternità, dovevano presentarsi al Commissario dello Spedale degli Innocenti, che ne era il direttore, munite della. fede del proprio parroco che attestasse della loro povertà e dei loro buoni costumi; e di non “essere attaccate da alcuna malattia estranea alla gravidanza”. Quelle di campagna, per regola, non erano ammesse, eccettuato il caso che appartenessero ad uno dei comuni che mantenevano un’alunna levatrice nell’Ospizio.

Con lo stesso Motuproprio del 24 novembre 1815, fu pure istituita una pubblica cattedra d’Ostetricia per gli uomini nello stabile dello Spedale degli Innocenti, dove si ricevevano tutte le creature che venivano esposte.

Il sistema col quale si esponevano i fanciulli consisteva in una ruota come quelle usate nei conventi; entro la quale deposto il fanciullo, la persona che lo aveva portato girava la ruota, dava una strappata al campanello per avvisare chi era incaricato di ricevere quei piccoli infelici, e fuggiva per non essere scoperta entrando subito sotto l’arco di Via della Colonna, che allora si diceva Via del Rosario.

Dallo Spedale degli Innocenti si sussidiavano pure quelle famiglie che non erano in grado di pagare una balia quando la madre era impotente ad allattare; e si accordava altresì un sussidio mensuale a quelle povere madri le quali per quanto allattassero da sé stesse la creatura, si trovavano in condizioni miserabili o perché rimaste vedove, o perché abbandonate dal marito.

All’oggetto che tutti gli stabilimenti di pubblica beneficenza fossero tenuti con la massima regolarità e corrispondessero in tutto e per tutto allo spirito di pietà che li aveva istituiti, vennero posti col Motuproprio del 21 marzo 1817 sotto la sorveglianza di una speciale deputazione incaricata di curarne la buona direzione e la retta amministrazione.

E ad accrescere questi istituti di beneficenza, Ferdinando III col Motuproprio del 28 novembre 1817 fondò l’I. e R. Istituto dei Sordomuti nel quale si destinarono otto posti gratuiti per altrettanti sordomuti della Toscana a nomina del Granduca. In tale istituto venivano accolti anche quei sordomuti italiani e stranieri che pagassero la retta stabilita dal regolamento organico approvato col R. Dispaccio del 20 giugno 1818.

Né la pubblica istruzione era meno curata e protetta delle opere di beneficenza. Oltre a molte scuole private, a quelle dei frati Scolopi che per i tempi di cui ragioniamo rappresentavano veramente il massimo della istruzione seria e liberale, vi erano i collegi e le università di Pisa e di Siena, tutti dipendenti dalla Soprintendenza agli studi del Granducato, creata col sovrano Motuproprio del 30 ottobre 1816. E non solo a questa Soprintendenza era affidata la vigilanza sulla pubblica istruzione, curando la osservanza dei regolamenti delle università, dei collegi e delle scuole pubbliche, ma aveva inoltre il mandato speciale di promuovere gli studi, di aver cura che in nessuna scuola o istituto pubblico o privato si introducessero abusi, e che i metodi d’insegnamento, che allora era libero, “corrispondessero all’aumento e perfezionamento delle scienze con utilità di quelli che vi si applicano”. Dalla Soprintendenza agli studi dipendeva l’informativa di tutti gli affari da sottoporsi alla sovrana sanzione, risguardanti gli studi.

In fatto di pubblica istruzione esisteva in Firenze la provvida istituzione delle “Scuole normali delle povere zittelle” fondate da Pietro Leopoldo con Motupropri e rescritti del 9 aprile 1778 e 7 luglio 1780, nei quattro Quartieri della Città, sotto i titoli respettivamente di Santa Caterina, di San Paolo, di San Giorgio e di San Salvatore.

In esse scuole oltre ai “primi doveri della religione, e le regole della decenza, conveniente allo stato delle dette zittelle”, vi si insegnava gratuitamente leggere, scrivere e “l’abbaco” insieme “a quei lavori e mestieri che possono essere più utili ad una buona madre di famiglia di classe indigente, come la maglia, il cucito, il tessere di nastri, seta, pannilini, o lani di ogni genere”. All’epoca della morte di Ferdinando III queste quattro scuole eran frequentate da più di ottocento fanciulle, le quali, oltre alla educazione ed alla abilità in un mestiere, ritraevano gran parte, e spesso interamente, la loro sussistenza; ed a quelle che più se ne rendevano meritevoli, veniva assegnata anche una dote di regia data…”

Fonte: Firenze Vecchia, storia – cronaca aneddotica – costumi (1799-1859) di Giuseppe Conti – nw198 (2007)

Ferdinando III di Asburgo-Lorena
Ferdinando III, Granduca di Toscana Statua di Ferdinando III ad ArezzoFerdinando III di Asburgo-Lorena (Firenze, 6 maggio 1769 – ivi, 18 giugno 1824) fu Granduca di Toscana dal 1790 al 1799 e dal 1814 al 1824.
Era figlio secondogenito del Granduca Pietro Leopoldo e di Maria Luisa di Borbone; in quanto figlio cadetto fu destinato al trono del Granducato per un complicato gioco dinastico: essendo rimasto senza figli lo zio, l’imperatore Giuseppe II d’Austria, la successione sarebbe toccata prima al padre e poi al fratello maggiore Francesco, stante anche le clausole internazionali che stabilivano l’impossibilità di unire la corona toscana a quella austriaca.
Nel febbraio 1790 morì l’imperatore Giuseppe II e Pietro Leopoldo abdicò al trono toscano per acquistare (malvolentieri) la corona asburgica; Ferdinando divenne così Granduca in un periodo che già si presentava agitato. In politica interna, il nuovo Granduca non ripudiò le riforme paterne che avevano portato la Toscana all’avanguardia in Europa, precedendo in alcuni campi persino la Rivoluzione Francese allora in corso ma cercò di limitarne alcuni eccessi, soprattutto in campo religioso, che erano stati accolti malvolentieri dal popolo.
In politica estera, Ferdinando III cercò di restare neutrale nella tempesta succeduta alla Rivoluzione Francese ma fu costretto ad allinearsi alla coalizione antirivoluzionaria su forti pressioni dell’Inghilterra, che minacciava di occupare Livorno e l’8 ottobre 1793 dichiarò guerra alla Repubblica Francese. La dichiarazione non ebbe però effetti pratici ed anzi, la Toscana fu il primo stato a concludere la pace e a ristabilire le relazioni con Parigi nel febbraio 1795.
La cautela del Granduca non servì però a tenere fuori la Toscana dall’incendio napoleonico: nel 1796 le armate francesi occupavano Livorno per sottrarla all’influenza britannica e lo stesso Napoleone entrava in Firenze, ben accolto dal sovrano ed occupava il Granducato, pur non abbattendo il governo locale. Solo nel marzo 1799 Ferdinando III fu costretto all’esilio a Vienna, in seguito al precipitare della situazione politica della penisola. Le truppe francesi rimasero in Toscana fino al luglio 1799, quando furono scacciate da una controffensiva austrorussa a cui diedero aiuto gli insorti sanfedisti del “Viva Maria!”.
La restaurazione fu breve; già l’anno dopo Napoleone tornava in Italia e ristabiliva il suo dominio sulla Penisola; nel 1801 Ferdinando doveva abdicare al trono di Toscana, ricevendo in compenso prima il Ducato di Salisburgo, nato con la secolarizzazione dell’ex stato arcivescovile e poi (1805), il Ducato di Würzburg, altro stato sorto con la secolarizzazione di un principato vescovile.
Ferdinando III tornò in Toscana solo nel settembre 1814, dopo la caduta di Napoleone. Al Congresso di Vienna, ottenne alcuni ritocchi del territorio con l’annessione del Principato di Piombino, dello Stato dei Presidi, dei feudi imperiali di Vernio, Monte Santa Maria Tiberina e Montauto e la prospettiva dell’annessione del Ducato di Lucca, seppur in cambio di alcune enclaves toscane in Lunigiana.
La Restaurazione in Toscana fu, per merito del Granduca, un esempio di mitezza e buon senso: non vi furono epurazioni del personale che aveva operato nel periodo francese; non si abrogarono le leggi francesi in materia civile ed economica (salvo il divorzio) e dove si effettuarono restaurazioni si ebbe il ritorno delle già avanzate leggi leopoldine, come in campo penale.
Le maggiori cure del restaurato governo lorenese furono per le opere pubbliche; in questi anni si realizzarono numerose strade (come la Volterrana), acquedotti e si diede inizio ai primi seri lavori di bonifica della Valdichiana e della Maremma, che videro l’impegno personale dello stesso sovrano. Ferdinando III pagò questo lodevole impegno personale con la contrazione della malaria, che lo condusse a morte nel 1824. Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.


 Newsletter della Storia dei Sordi n.198 del 7 marzo 2007

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