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Perocchio Antonio – Pittore e disegnatore sordo

Ricordando una figura e una vita: Antonio Perocchio. Cessò improvvisamente di vivere il mattino del 21 ottobre 1947.
Come sempre anche quel mattino si alzò alle sette, apprestandosi con la consueta giovialità a tuffarsi nei meandri dell’esistenza di ogni giorno: da una parte lavorare, per guadagnare il pane; dall’altra lottare per la santa causa dei sordomuti. Suo primo pensiero era quello di andare a comprare il giornale, perché senza prima dare una scorsa agli avvenimenti non poteva iniziare il suo lavoro quotidiano.

Manifesto realizzato da Perocchio

Se RINASCITA gli si fosse presentato tutti i giorni, certamente non avrebbe avuta la fretta di acquistare altri giornali, in quanto esso lo interessava al sommo grado, e di ciò aveva dato la migliore prova facendolo maggiormente diffondere tra i sordomuti dell’Alessandrina, suo glande feudo regionale, dove aveva saputa accattivarsi la stima e la rispettosa simpatia dei sordomuti. Quel giorno, infatti, disse alla sorella: «Vado fuori a prendere il giornale e torno subito. Se viene qualcuno di fuori fallo aspettare». (Invero molti di coloro che erano di passaggio in Alessandria, si ricordavano sempre di andare da Lui!). Prese il cappello, usci e ritornò a casa rifacendo faticosamente le anguste e lovore scale della sua abitazione sita al quarto piano. Col giornale in mano era sempre più urgente in Lui il desiderio di leggere, leggere presto. Capite: il giornale era la sua predilezione, qualche cosa come uno stimolo che lo spingeva a meglio lavorare e a meglio pensare. Leggeva questa notizia e la giudicava una balla; leggeva l’altra notizia e la giudicava una verità e raccontandola agli altri la ingrossava con dei particolari tutti suoi, come se egli stesso volesse confermare come la favola della montagna che partorisce un topolino sia una realtà. Macchinalmente si tolse il cappello, per posarlo sull’attaccapanni, e quando la volta interna del cappello toccò la punta dell’attaccapanni senti d’un tratto nella regione cardiaca un soffio, accompagnato da un sussulto, e subito dopo intese nel suo essere uno schianto che lo fece girare su se stesso e cadere come un peso morto. In quell’istante ANTONIO PEROCCHIO cessò di vivere, senza avere nemmeno il tempo di dire alla sorella, all’amata sua nipote e a tutti quanti lo amarono una parola d’addio e di raccomandazione per la santa causa dei sordomuti della sua regione, alessandrina, della quale egli si sentiva il vero paladino e il vero difensore. Certamente qualcuno dirà: Che bella morte è stata quella del Perocchio! Morto senza soffrire, senza dare la sinistra impressione di un moribondo rantolante che tarda a spegnersi!». Potrebbe essere questa una verità, ma io credo che in Perocchio questo dramma di vita e di morte, avvenuto con la rapidità di un fulmine, non può essergli piaciuto, in quanto Egli, da uomo metodico qual era, non amava mai lasciare agli altri le cose incompiute. Purtroppo sé ne è andato così lasciando dietro di sè una scia di sgomento e di sconforto nella famiglia, nella più grande famiglia dei sordomuti e in tutti coloro che affidarono alle sue diafane e magistrali mani lavori di fotografia, di pittura, o qualsiasi altro lavoro. Se è vero che la lenta e sicura ascesa della Società Mutua fra i Sordomuti di Alessandria fu tutto merito di Perocchio, avendola Egli creata, questo non vuoi dire che gli creò una fama. Una fama Egli seppe procacciarsela, allorché nel lontano 1925 organizzò in Alessandria il famoso primo Congresso nazionale, dalla Unione Italiana Sordomuti (U.S.I.). Per esso riuscì ad avere per due giorni consecutivi il massimo teatro della città, privando la cittadinanza dei giornalieri spettacoli. Altro merito del Perocchio fu quello di esser riuscito ad ottenere dal Comune una grande sede per la sua Associazione, uria sede imponente, composta di quattro stanze ampie, e assolutamente sproporzionata al piccolo numero dei sordomuti, quasi tutti residenti nei comuni viciniori. Chi la visitava ne rimaneva stupito, pensando che Società di grandi città, come Torino, Genova e Milano (eccetto la Benefica), ece. sedi di simile ampiezza non ne avevano mai avute! Le autorità che passavano sotto il suo caratteristico naso di perfetto guascone si lasciavano così facilmente lusingare dalla sua grande furberia e dal suo grande umorismo, senza opporre la benché minima obiezione. Ecco come il Perocchio sapeva signoreggiare nel suo « feudo » ; signoreggiava così perché era da tutti ricercato, desiderato, specialmente per i cartelloni pubblicitari che creava per conto o di un cinema o di un commerciante. Nel contempo molti «salvati dal miracolo» calavano dalla provincia, sapendo che là ad Alessandria, in Via S. Dalmazzo 7, c’era un pittore mago di “ex-voto”. Andavano da Lui, davanti a Lui si inchinavano togliendosi il cappello, e il Perocchio sorrideva mostrando i suoi bianchi denti. Precisamente non so come si è diffusa questa leggenda di mago di “ex-voto”; egli ne dipinse molti di diverso soggetto, secondo la versione dei fatti e per sè ne fece uno allorché scampò da sicura morte da un carro militare trainato da un mulo che l’aveva investito. Quest’Uomo così figurativo, cosi singolare, cosi pronto nella sua valentia di pittore e disegnatore; talvolta si permetteva di disegnare cose bizzarre, come per esempio ebbe la genialità di rappresentare la sua vita. con un disegno simbolico, in tre fasi: dall’alfa all’omega: dall’infanzia alla professione, fino alla morte.
Tre fasi del tempo umano scandite dalla clessidra che campeggia nel disegno. Questa rappresentazione è stata fotografata in tanti esemplari che tuttora circolano tra le mani degli amici e dei conoscenti. Dopo la morte del suo prediletto amico Piero Ranza, la sua esistenza era andata rabbuiandosi e avviandosi verso il crepuscolo. Ciò è fatale a tutti gli esseri della terra. Ma raccontare particolari e aneddoti, di cui era ricca la sua esistenza, sarebbe troppo lungo. Credo di essere riuscito a inquadrare la vita del Perocchio con queste brevi note, e posso anche dire che oramai Alessandria non dà più a chi, transita la tentazione di scendere dal treno. Egli non è più cola. Se era sempre reperibile in casa, in piazza,, in qualche traversa, al Cappello Verde, al Leon d’Oro, questa volta è soltanto reperibile là dove salgono altissimi verso il cielo i cipressi, eterno simbolo della tristezza e del dolore. Ma certamente lo rivedremo nel giorno di S.Giorgio. Lo rivedremo, ahimè, solo in una muta immagine, che certamente il diletto amico Ivaldi eseguirà, per appenderla all’altezza del tavolo della presidenza, nel giorno dell’Assemblea annuale della Società. L’immagine sarà certamente là e cosi potremo guardarla, osservarla, scrutarla e pensare come mai quella bizzarra testa sia stata capace di tante guasconate si da ottenere anche l’impossibile dalle autorità a tutto vantaggio dei sordomuti.  ps032

 


RICORDANDO UNA FIGURA E UNA VITA: ANTONIO PEROCCHIO

RICORDANDO UNA FIGURA E UNA VITA: ANTONIO PEROCCHIOdi Emidio Pacenza da Rinascita nel marzo 1948

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