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Inaugurato a Catanzaro il MARCA, Museo delle Arti di Catanzaro, un Museo nella casa che fu dei sordomuti (Newsletter della Storia dei Sordi n. 464 del 7 aprile 2008)

Inaugurato a Catanzaro il MARCA, (Museo delle Arti di Catanzaro) un Museo nella casa che fu dei sordomuti.

Il Prof. Antonio Izzi e suo figlio Dott. Felice Izzi, Presentazione del Libro “Quella casa silenziosa…” che riassume la storia dell’Istituto Provinciale dei Sordomuti di Calabria in Catanzaro “Antonio Izzi De Falenta” dal 1859 al 1997, scritto da Felice Izzi  (nipote del Direttore dell’Istituto Antonio Izzi De Falenta)

Il 29 marzo 2008 ha segnato un momento di particolare importanza per la cultura calabrese e per lo sviluppo dell’arte, ma anche per la storia dei sordomuti. La sera di sabato, infatti, in una via Alessandro Turco stracolma di gente e con tutti i lustri dell’occasione, è stato inaugurato il MARCA, il nuovo Museo d’ARte di CAtanzaro, che raccoglie insieme ed espone al pubblico i capolavori dei più grandi artisti calabresi del passato, fino ai maggiori esponenti dell’arte contemporanea.  Il Museo nasce all’interno di Palazzo Marincola S. Floro, un grande edificio ottocentesco posto su più livelli che appartenne alla nobile famiglia catanzarese (di cui si conserva l’arme in marmo sul portale d’ingresso), prima che fosse ceduto all’Amministrazione Provinciale di Catanzaro, che oggi lo ha finalmente ristrutturato e riadattato dopo anni di abbandono e di rovina, trasformandolo in uno scrigno d’arte. Tuttavia il palazzo, grande e discreto affacciato sullo strapiombo della fiumarella, non è solo un contenitore spazioso e antico; è esso stesso memoria e storia, perché fu sede per decenni dell’Istituto Provinciale dei Sordomuti di Calabria “Antonio Izzi de Falenta”, cioè casa e spesso unica salvezza per tutti i sordomuti della nostra e di altre regioni del Sud di Italia, in epoche in cui ancora non esistevano le odierne leggi a sostegno della categoria, e il metodo oralista era preferito alla nuova Lingua dei Segni Italiana nell’insegnamento dei sordi.    L’istituto, fondato nel 1859 dal vescovo di Catanzaro Raffaele Maria De Franco con l’aiuto di padre Ajello di Napoli e affidato alle cure del suo primo direttore, il sacerdote Achille Luigi Spadola, cambiò sede più volte, ma per quasi tutto il novecento rimase stabile in questo possente palazzo che ne divenne sua sede storica, fino alla chiusura definitiva nel 1990. I ragazzi rimasti furono trasferiti e accorpati nella sezione femminile di Gagliano di Catanzaro, che a differenza della grande e centrale sede maschile di via Turco rimase ancora attiva fino al 1997, anno in cui l’istituto intitolato al mio bisnonno chiuse i battenti, ente ormai inutile e costoso alla luce delle nuove leggi sulla disabilità e alle moderne strutture di sostegno che il legislatore aveva introdotto.

Per la vecchia proprietà dei Marincola, da anni ormai passata nei ruoli della Provincia che l’aveva ceduta ai sordomuti, iniziarono così 18 anni di abbandono e di chiusura, a parte una breve parentesi temporale in cui alcuni locali furono offerti al vicino istituto scolastico che necessita di aule. Poi fui il silenzio, un silenzio vero e reale, non quello fittizio dell’epoca dell’istituto sordomuti. Fino ad oggi, fino alla nascita del MARCA e alla rinascita delle emozioni.   Così gli antichi ed alti saloni di quella che fu prima la sontuosa residenza dei nobili e poi la silenziosa casa dei poveri sordomuti di Calabria, si offrono ancora una volta generosi, e trasformati a festa accolgono ora le intime emozioni dell’arte e i capolavori dell’ingegno umano, proteggendoli con le loro poderose mura. E fa sensazione, per tutti coloro che da giovani vissero in quei luoghi, immergersi nello splendore di quei grandi capolavori lì dove prima c’erano le cucine, le aule, il refettorio; me compreso in fondo, che da bambino di pochi anni giravo per quelle stanze dove mio padre e le mie zie lavoravano insieme al direttore Felice Izzi, mio nonno e mio omonimo, in una famiglia che da generazioni si occupava di insegnamento ai sordomuti. Forse per questo mi ritornano flash back sfocati di una infanzia lontana: e vedo le grandi storie d’Italia di Andrea Cefaly da Cortale, pittore garibaldino di un ottocento sanguigno, ospitate dove ricordo c’erano le cucine; oppure le stupende pennellate post-caravaggesche del Cavaliere di Malta Mattia Preti (di Taverna, come mia madre), che fu calabrese e pittore seicentesco tra i più grandi, ora ospitato nelle stesse stanze che ospitavano i bimbi sordomuti di Calabria. E poi l’opere di tanti altri artisti del settecento, finora escluse al pubblico godimento per motivi di spazio e strutture, rinchiuse per anni nel buio dei depositi provinciali o sparse per anonimi corridoi e uffici un po’ freddi di palazzo di vetro, sede della Provincia. E il giro continua: salendo le scale, tra quelle che erano sale e dormitori, trovo opere del novecento e i grandi decollage del Maestro catanzarese Mimmo Rotella (scomparso poco più di un anno fa) che lo resero celebre nel mondo. «Chi avrebbe mai immaginato – mi dice mio padre – di vedere un Rotella qui, accanto alla stanza in cui nacqui, o un Mattia Preti sotto gli appartamenti in cui vivevo con la mia famiglia, quando mio padre era il direttore dell’istituto? Questa è la scala da cui caddi con i pattini da bambino… oggi sarei finito contro una statua!». Ricordi di gioventù, simili a quelli che tanti e tanti sordomuti percepiranno allorquando ritorneranno in quelle antiche mura. Perché i sordomuti sono privilegiati, qui: possono emozionarsi per la bellezza dell’arte come tutti, ma anche rivivere il passato e dialogare con la nostalgia, solo loro. Noto infatti che la gente ha occhi spalancati davanti i grandi capolavori, e poi curiosità per la sede che li ospita; «un così bel palazzo in pieno centro e nessuno lo conosceva…» è il commento di qualcuno meno distratto da tanta ricchezza artistica. Poi vedo un uomo che guarda il tetto, il soffitto, le scale e pensa, guardando un muro discreto e nudo; le statue enormi di Jerace sono di lato, eppure quell’uomo riflette guardando il muro… forse è un sordomuto, e quell’angolo richiama chissà quali intimi ricordi, solo per lui! Scendo nel seminterrato dopo aver incontrato Antonio Mirijello, motore sempre acceso della locale sezione dell’Ente Nazionale Sordi, emozionato certo più di me nel rientrare in quelle stanze che lo videro alunno dell’istituto, e che ora lo rivedono in veste temporanea di fotografo appassionato che ovunque scatta. Io proseguo giù,  sempre con papà, guida speciale ed entusiasta che mi fa sentire un privilegiato di fronte a politici e cultori che probabilmente poco sanno della “storia vera” di questo luogo. E giù, tra tante installazioni temporanee di artisti contemporanei più o meno o forse noti, mi appare strano trovarmi uno spazio espositivo a servizio di sua maestà fantasia, dove prima c’era invece la rinomata tipografia dell’istituto, con i suoi macchinari, i caratteri mobili, il sudore del lavoro e la creatività di maestri grafici come Martino Bellisario! Vedo addirittura un raffinato bar con bouvette, nel luogo in cui per tanti e tanti anni il rumore incessante delle macchine tipografiche stordiva invano orecchie abituate al silenzio dalla fortuna della vita. Esco fuori, c’è un rinfresco. La gente saluta Rotella, mentre il Manfredi di Cefaly muore da solo su un asino davanti alla massa che si accalca per un drink o per stringere una mano… siamo pur sempre in campagna elettorale!  Torno per caso più tardi a passare da quella strada, per recuperare l’auto dopo un giro in città e una capatina in un bar meno affollato. Le luci – ormai è tarda serata – pian piano si spengono. Via Turco torna alla tranquillità discreta di una strada di città che vuol riposare dopo l’evento. Molte persone saranno rimaste finché le telecamere funzionavano, altre avrebbero preferito invece godersi l’arte in silenzio e tutta da soli, egoisti! E invidiosi, perchè in tanta confusione avranno pensato: beati i sordomuti! E’ finita la serata: i giornalisti hanno fatto il loro lavoro, gli operai lo stanno facendo ora pulendo e caricando i resti di una serata eccezionale. I politici stringono ancora mani; ma per una volta la politica bistrattata di questi tempi ha realizzato una buona cosa! Il buffet è finito, le opere dell’ingegno e dell’arte dell’uomo restano. Resta un Rotella silenzioso in quello che fu l’istituto dei silenziosi; resta un Mattia Preti in un’aula ormai vuota, di là Cefaly riposa in refettorio, la statua di Jerace è immobile sotto un riflettore spento…che meraviglia, che spettacolo! Da gustare tutto con gli occhi e con i sensi, in silenzio come un sordo per ascoltare di più, nel cuore e nella testa, l’emozione dell’arte e la bellezza del colore, o la lezione della storia. In silenzio nella casa dei sordi, per ascoltare di più. Non poteva esserci destino più adatto per un luogo tanto caro o finale migliore per una serata così emozionante, quasi fosse stato scritto da una penna superiore!

Segnalato da Antonio Mirijello  – nw464


Newsletter della Storia dei Sordi n. 464 del 7 aprile 2008

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