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La solitudine del sordo.

La solitudine del sordo. Solo nelle città i sordi hanno la possibilità di riunirsi e di trascorrere insieme il loro tempo libero, perché nei piccoli paesi, se c’è un sordo, questo è quasi sempre solo ad essere tale.

Se vuole una compagnia di persone con le quali poter comunicare e conversare a suo agio, deve andarsela a trovare nel capoluogo di provincia o in un grosso centro dove ci siano più sordi che possano riunirsi fra di loro.
Quando un sordo deve vivere in un paese di poche migliaia o centinaia di abitanti, esso è quasi sempre condannato alla solitudine. Specialmente se è un giovane, o uno scapolo, o un anziano senza famiglia.

Immaginiamo la solitudine di un sordo che vive in un piccolo paese, solo, isolato fra la sua gente, fra  suoi compaesani, fra i suoi stessi parenti.

Non può conversare, non può scambiare idee, non può seguire i fatti, gli avvenimenti, i racconti, non può prendere parte ad incontri e a riunioni.

Non può seguire la TV, senza sottotitoli, non può andare al cinema, non può ascoltare la radio, non può andare a una conferenza, a un concerto, a un comizio, a una vendita, a una gara, ecc.

Non può andare di qua e di là a far visita nelle case di amici, parenti e conoscenti, perché, anche se ci va, pochi o nessuno sanno conversare con lui, nessuno conosce il linguaggio dei gesti (la lingua dei segni, n.d.r.), ben pochi sanno muovere le labbra lentamente e farsi capire, pochi o nessuno hanno la pazienza di tentare di farlo.

Un sordo profondo che vive un paesino è destinato a fare soltanto il testimonio muto, anzi, sordomuto, degli avvenimenti o degli incontri e riunioni che avvengono intorno a lui. E per giunta, un testimone che nulla può capire, perché nessuno si fa capire, e che quindi non sa quasi nulla di ciò che avviene e che si dice, e che ciò che sa, lo viene a sapere dopo tanto tempo, e in modo incompleto e spesso errato.

 
Antonio Fontanesi La solitudine (1875)

L’unica compagna del sordo che vive in un paesino, una compagna che non lo abbandona mai, è la solitudine.

Con essa, il sordo si aggira solitario per le vie del paese, fra la sua gente, fra i suoi parenti, fra i suoi conoscenti, fra i suoi vicini.

Con essa, spesso si apparta per pensare, per soffrire, per non vedere nessuno, o semplicemente per cullarsi nell’immensità del suo silenzio abissale.

Con essa, ogni tanto si allontana, andandosene per i campi, sui monti, tra i boschi, nei ruscelli, a contatto con la natura, la natura così splendida e meravigliosa, che con lui è stata così crudelmente matrigna.

Quante volte egli resta così, solitario, lontano dal paese, tra i boschi, aspettando la sera, lasciando cadere qualche lacrima sulla calda e profumata terra sulla quale è adagiato, tra l’erba, mentre il suo sguardo e il suo spirito sono rapiti dallo spettacolo meraviglioso e  struggente del tramonto, e mentre i suoi orecchi non possono udire le armonie degli uccelli che cantano e delle campane del Duomo che suonano l’Ave Maria. Quando è buio, egli tutto solo, pian piano, ritorna al paese, senza che alcuno si accorga di lui e senza che qualche amico o parente gli corra incontro per raccontargli tutto di un fiato l’ultimo fatto accaduto o gli avvenimenti più importanti del giorno.

Egli ritorna a casa, solo, e si abbandona all’oblio della notte e del sonno.

Oh, certamente, molti di questi sordi che vivono nei piccoli paesi avranno pure dei familiari, o se sono ragazzi, i genitori e fratelli. Ma non è che cambi molto in loro situazione. La loro più frequente compagnia è sempre la solitudine. Genitori, fratelli e familiari hanno sempre da fare. Non hanno tempo per conversare con lui, per stare molto tempo insieme con lui. E non hanno tempo nemmeno per informarlo di tutto.

Tutti lo conoscono, nel paese, tutti gli vogliono bene, tutti, chi più, chi meno, gli fanno qualche gesto di bontà e di incoraggiamento, un saluto, un sorriso, una pacca sulle spalle, uno scherzo. Magari alcuni ci giocano anche a carte, o a bocce. Ma tutto si esaurisce lì. E la vita di relazione, il sordo, deve portarla con se stesso. Con la sua solitudine. Ha bisogno di conoscere, ha bisogno di comunicare, ha bisogno di stare insieme, ha bisogno di amare.

Ma è solo. Solo con se stesso, in mezzo ai suoi compaesani.
Ecco che cosa significa essere sordi. Ed ecco perché i sordi hanno così forte l’istinto e la capacità di associarsi fra di loro, e di organizzarsi per i loro bisogni e per i loro diritti umani e sociali. Ma tutto questo possono farlo quando si trovano in una città dove i sordi sono più o meno numerosi . Per chi vive in un piccolo paese, resta soltanto la solitudine, e il silenzio. A meno che non abbia così abbondanti mezzi economici da andarsene ogni giorno in città per trascorrere con i suoi fratelli di silenzio il suo tempo libero. Ma sappiamo benissimo che i sordi che vivono nei piccoli centri sono spesso molto poveri.

Ecco dunque a che cosa servono gli aiuti speciali che lo Stato deve dare ai sordi, sia che vivono in città, sia che vivono in paesetti.

Tutti sono condizionati, in tanti modi, e tutti devono essere aiutati, perché possano vivere non nella solitudine e nell’isolamento, ma nella comunione e nella partecipazione.
Ecco a che cosa servono una buona pensione al solo titolo della minorazione, un’adeguata indennità di accompagnamento (comunicazione, n.d.r.) e altri sussidi e agevolazioni.

Mai sarà fatto abbastanza perché il sordo non viva soltanto con la sua solitudine. (V.)

nw136 – 21 novembre 2011

 Memoria dei sordi italiani ai caduti in tutte le guerre

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