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Basilica di Sant’Antonio da Padova

S. Antonio da Padova (1195 – 1231), uno dei santi più amati dagli italiani, predicatore, taumaturgo e dottore della Chiesa. Abbiamo trovato che sulla sua tomba sono avvenuti numerose guarigioni sotto gli occhi di tutti: “Ivi gli occhi dei ciechi si aprirono, ivi si schiusero le orecchie dei sordi; ivi lo zoppo saltò come un cervo; ivi la lingua dei muti, snodatasi, proclamò rapida e chiara le lodi di Dio”.

Riccobaldo da Ferrara (1230-1312) racconta che un sordomuto acquistò miracolosamente l’udito e la parola davanti alla tomba del santo nella Basilica di Padova: egli riusciva solo a ripetere le parole che gli venivano dette, ma non comprendeva il significato delle stesse.

Questi erano i primi evidenti passi dell’apprendimento della parola attraverso l’udito.

Il 13 giugno la sua festa.
P. Vincenzo Di Blasio



Basilica di Sant’Antonio da Padova
L’attuale Basilica è in gran parte l’esito a cui si è giunti attraverso tre ricostruzioni, che si sono succedute nell’arco di una settantina d’anni: 1238-1310. Ai tempi di sant’Antonio qui sorgeva la chiesetta di Santa Maria Mater Domini, poi inglobata nella Basilica quale Cappella della Madonna Mora. Accanto ad essa, nel 1229, era sorto il convento dei frati fondato probabilmente dallo stesso sant’Antonio.

Deceduto nel 1231 all’Arcella, a nord della città, dove sorgeva un monastero di clarisse, il suo corpo – secondo il suo stesso desiderio – venne trasportato e sepolto nella chiesetta di Santa Maria Mater Domini.

Il primo nucleo della Basilica, una chiesa francescana a una sola navata con abside corta, fu iniziato nel 1238; vennero poi aggiunte le due navate laterali e alla fine si trasformò il tutto nella stupenda costruzione che oggi ammiriamo.



L’Interno della Basilica di sant’Antonio
Ci si può portare agli inizi della navata centrale. Si noterà subito come l’architettura, pur sempre gotica nell’alzata, si distingue nettamente in due parti: quella delle navate (in cui ci si trova) e quella dell’abside oltre il transetto. Non soltanto perché quest’ultima è tutta affrescata, ma soprattutto per la diversa tipologia del gotico.

L’area delle navate appare di ampia spazialità, ritmata da entrambi i lati da due calme e solenni campate. Sopra di esse, sia a sinistra che a destra, corre un ballatoio, il quale accompagna la navata centrale, per poi rinserrare tutto intero il transetto.

Più che i resti di decorazioni e dipinti, colpiscono i numerosi monumenti funebri, che rivestono pilastri e altri spazi e che risalgono soprattutto ai secoli XV-XVII. Oggi noi preferiamo vedere le chiese ripulite da queste incrostazioni del passato.

Non bisogna però sottovalutare il valore artistico di alcuni monumenti e il fatto che essi costituiscono un interessante spaccato della vita civile e culturale della città e della regione. La presenza di questi monumenti funebri non interessa però la gran parte dei visitatori.

Prima di lasciare la navata centrale, si osservi sulla controfacciata il grande affresco di Pietro Annigoni, terminato nel 1985, raffigura Sant’Antonio che predica dal noce. Il fatto avvenne a Camposampiero (Padova) dove il Santo, immediatamente prima della morte, trascorse un breve periodo di riposo e di raccoglimento (dalla seconda metà di maggio al 13 giugno 1231).

Alla gente (semplice o malata, indifferente o curiosa; simpatico il contrappunto dei tre bimbi) e ai suoi frati (ai piedi della scala c’è il beato Luca Belludi, successore di sant’Antonio) il Santo indica il vangelo come fonte di luce e di vita.

La Cappella della tomba di sant’Antonio
Cappella di sant’Antonio, panoramica, sec. XVILa tomba del Santo è stata chiamata fin dagli inizi anche “Arca”. In questa cappella, sotto la mensa dell’altare e ad altezza d’uomo, c’è la tomba del Santo, qui collocata dopo essere stata dal 1231 al 1263 nella chiesetta Santa Maria Mater Domini (oggi Cappella della Madonna Mora) e dal 1263 al 1310 nel centro della Basilica, di fronte al presbiterio, sotto l’attuale cupola conica; incerta invece rimane la collocazione della tomba dal 1310 al 1350 (che può essere stata anche l’attuale). Dal 1350 è sempre rimasta in questa cappella.

Fino agli inizi del Cinquecento lo stile con cui era ornata la cappella era quello gotico, con affreschi di Stefano da Ferrara, lo stesso della Madonna del Pilastro.

L’arredo attuale, cinquecentesco, notevolmente unitario dal punto di vista architettonico e scultoreo, sembra doversi attribuire a Tullio Lombardo.

L’altare è piuttosto invadente, ma l’artista Tiziano Aspetti (che lo realizzò verso la fine dei Cinquecento) era condizionato dall’altezza difficilmente modificabile della tomba, di certo precedente. Le statue sull’altare (sant’Antonio tra san Bonaventura e san Ludovico d’Angiò) sono dello stesso artista, mentre altri bronzisti hanno realizzato gli Angeli portacero, il cancelletto e i due piccoli candelabri.

Quelli più grandi e slanciati, su supporti d’angeli in marmo, sono invece creazione secentesca di Filippo Parodi.

Altorilievi che accompagnano l’itinerario intorno alla tomba.
Con un pò di attenzione e di buon senso si può armonizzare, per chi lo desidera, una sosta di raccoglimento presso la tomba del Santo con uno sguardo sommario ai nove altorilievi che la cappella ci propone.

1. Sant’Antonio riceve l’abito francescano. Opera di Antonio Minello (1517).
2. Il marito geloso, la cui moglie, pugnalata per gelosia, viene risanata dal Santo. Il lavoro, iniziato da Giovanni Rubino (detto il Dentone), fu portato a termine da Silvio Cosini (1536).
3. Il giovane risuscitato dal Santo. Il Santo, prodigiosamente trasferitosi in Portogallo, risuscita un giovane perché riveli l’identità dei suo vero assassino così da scagionare il padre di Antonio, nel cui orto il cadavere era stato occultato. Iniziato da Danese Cattaneo, fu ultimato da Girolamo Campagna (1573).
4. La giovane risuscitata. Si tratta di una ragazza annegata, risuscitata dal Santo, che nella rappresentazione non compare anche se in alto si vede la sua Basilica. È opera di Jacopo Sansovino (1563). Realizzazione ben calibrata e intensamente vigorosa.
5. Il bambino risuscitato. Si tratta del nipotino di sant’Antonio. Opera di Antonio Minello con ritocchi del Sansovino (1536).
6. Il cuore dell’usuraio defunto non viene trovato dove doveva essere, ma nel suo forziere, come il Santo aveva sostenuto. Opera di Tullio Lombardo (1525).
7. Sant’Antonio riattacca il piede a un giovane, che per disperazione se l’era troncato dopo aver dato un calcio alla madre. Evidente la mano di Tullio Lombardo (1504).
8. Il bicchiere rimasto intatto, dopo essere stato scagliato a terra per sfida da uno che non credeva nella predicazione e nei prodigi operati da sant’Antonio. Iniziato da Giovanni Maria Mosca, fu portato a termine da Paolo Stella (1529).
9. Sant’Antonio fa parlare un neonato, perché attesti la fedeltà della madre, ingiustamente sospettata dal marito geloso. Opera di Antonio Lombardo (1505), fratello di Tullio.
Fonte: basilicadelsanto.org


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Sant’Antonio da Padova

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