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Santuario della Madonna del Soccorso di Marciaga (Verona)

Il storico mariano Giovanni De Carlis cita nella sua opera “Santuari mariani legati alla Storia dei Sordomuti” che nei pressi di Marciaga, una frazione, nel Comune di Costermano (Verona), secondo la tradizione popolare, ad un pastorello sordomuto apparve la Madonna, seduta sopra una pianta d’olivo e gli porse un pane; il pastorello lo mangiò ed ottenne perfetta guarigione. La notizia si sparse in un baleno e tutti correvano a vedere il miracolato. Nel 1400, sul luogo del prodigio, venne eretta una chiesa, ingrandita nel 1595.

Storia del Santuario
Il viandante che percorre i pochi chilometri di strada che uniscono il paese di Castion Veronese alla vicina frazione di Marciaga incontra, a due terzi dal cammino, un verde prato, sullo sfondo del quale s’innalza una pittoresca e vecchia chiesetta, la Madonna del Soccorso – protetta a sera da alcune rupi scoscese – le Sengie di Marciaga – che ne fanno quasi cornice.

La forma del piccolo tempio, le lunghe finestre, fanno pensare subito ad una costruzione dell’epoca del rinascimento e, più precisamente, al principio del secolo XVI; i contorni in vivo della porta furono probabilmente levati da altro fabbricato e quivi adattati, ma male corrispondono all’apertura.

Un tempo, la facciata doveva esser tutta affrescata; oggi si riesce a stento a scorgere qualche residuo di tinta nella fascia sottostante alla sporgenza del tetto.

Entrando nel tempio si vede nella parte alta della muratura un affresco, che corre sui due lati maggiori, diviso a riquadrature corrispondenti alle campate del tetto; in qualche punto, dove l’intonaco è caduto, affiora sulla muratura un dipinto più antico formato da grandi quadri contenenti armi gentilizie, fra due delle quali era scritta la quarta strofa della canzone del Petrarca alla Madonna: «Vergine bella, che di sol vestita», di cui oggi si leggono appena le parole iniziali d’ogni verso; ciò che fa pensare che sulle che sulle altre pareti fossero scritte altre strofe della stessa canzone. Solo la parte superiore degli affreschi venne un po’ rispettata quando, dopo la peste del 1630, durante la quale il tempio era stato trasformato in lazzaretto, le pareti furono coperte di calce. Sopra la porta maggiore, è affrescato lo stemma della famiglia Carlotti, che nei secoli passati teneva nella località e nei paesi vicini estesi possedimenti e che certamente avrà concorso con generosità alle spese di restauro e d’ampliamento del santuario.

L’altare maggiore – anche questo, probabilmente, trasportato da altra chiesa e qui adattato – in marmi rossi contornati di biancone, si eleva su due gradini di brocatello veronese. Il tabernacolo, pure in marmi policromi, sostiene un ricco tronetto marmoreo avente quattro colonnine composite tra le quali è incastonata una tavoletta alta 50 cm. e larga 40, su cui è raffigurata la Madonna. In questo dipinto, rappresentante il miracolo, la Vergine, ricoperta di bianca veste e con un manto pure candido agganciato sul petto, sta seduta sopra i rami di un olivo; al suo lato destro un pastorello tende la mano per ricevere un pane, mentre dall’altra parte, non lungi, pascola un piccolo gregge di pecore.

Sopra l’altare, situato lungo la parete a sinistra di chi entra in chiesa, si legge in una cartella la scritta che ricorda il nome del generoso oblatore, canonico Marcello Carlotti, e la data di erezione, 1597.

Sopra la mensa sta oggi una pala; dietro a questa esiste una nicchia nella quale, secondo una memoria scritta in un vecchio registro, stava originariamente quella statua della Vergine recante in braccio il Bambino, che oggi si conserva nella chiesa parrocchiale.

L’altare di fronte a questo è d’epoca forse anteriore. Sul plinto del pilastro di sinistra sono scolpiti ad altorilievo alcuni distici, che ricordano la cessione dì un appezzamento dì terreno vicino alla chiesetta, quale offerta per la celebrazione perpetua di una messa settimanale. La forma antica di alcune lettere dì quell’epigrafe farebbe riferire lo scritto ad un periodo molto anteriore alla data di costruzione della chiesa, ma uno stemma scolpito sull’altro plinto, lavoro della stessa mano, testimonia un’epoca più tarda e, forse, non molto lontana dalla data di erezione dell’altro altare. Questo stemma (un fiore ed un sole nascente, divisi dalla parola “Gratia”) apparteneva alla famiglia Graziani; nella chiesetta è ripetuto un’altra volta, tra gli affreschi, e così pure è scolpito nel cuneo di chiave di un archivolto in un vicino fabbricato rurale.

La chiesa – originariamente certo in forma più modesta – deve essere stata costruita al principio del secolo XVI, poiché dalle annotazioni relative ad una visita pastorale avvenuta nel maggio del 1530, si rileva che il sacro edificio era stato eretto da poco, ma che non era ancor terminato. N’era stato movente il ricordato miracolo di Maria SS., per la verifica del quale si era recato sul luogo monsignor Antonio Beccari, vescovo di Scutari, suffraganeo e luogotenente del Veronese monsignor Giovanni Matteo Giberti.

Nel 1533 lo stesso vescovo monsignor Giberti, recatosi a visitare il santuario, raccomandava la demolizione dell’altare portatile – allora non esisteva alcun altare fisso – e lamentava che non si fosse ancora provveduto all’erezione del campanile. Un ultimo cenno, che si legge in quelle annotazioni pastorali, fa pensare che l’edificio non fosse ben custodito, poiché il Vescovo prescriveva dictus locus teneatur clausus.

All’epoca di un’altra visita fatta nel 1541 dallo stesso Pastore, è da ritenersi che la chiesetta fosse abbastanza ben tenuta. I lavori di compimento della chiesa furono eseguiti qualche anno dopo: nella muratura sottostante al tetto esiste ancor oggi la data incisa da qualche operaio, 1550.

Alla fine del secolo XVI risale l’ingrandimento dell’edificio: il campanile era già stato eretto; volendosi anzi interpretare le lettere M.C., scolpite nella parte interna della cella campanaria, come le iniziali del canonico Carlotti, il campanile sarebbe stato da questi fatto sopraelevare nell’anno 1600.

La devozione alla Madonna del Soccorso deve aver avuto una certa diffusione in tutta la zona del lago; oltre gli abbondanti ex voto elencati nei registri delle visite pastorali, ne fanno prova anche gli elenchi degli ascritti alla pia associazione, istituita presso il santuario, dove si riscontrano numerosi i nomi d’abitanti d’altri paesi. Grande doveva essere pure il concorso di popolo nei giorni delle feste più solenni del santuario, l’otto settembre e l’otto dicembre: lo attestano, sia pure indirettamente, le non lievi spese di cera che i preposti alla chiesa incontravano ogni volta presso lo speziale di Bardolino.

Un documento del 1755 fa conoscere i confini della via e della piazza antistanti il tempio, oltre i quali non potevano attendarsi i venditori di oggetti religiosi e di vino; questa è un’altra prova che nelle solennità convenivano ivi numerose persone, non provenienti soltanto dal piccolo centro di Marciaga. Fonte: verona.com – re058 – 2005


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