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La lunga vita di Marianna Ucrià.

Dacia Maraini ha scritto sicuramente con “La lunga vita di Marianna Ucria”, uno dei più bei libri della sua produzione. Quello che mi ha colpito in particolare nel romanzo è la sua accuratezza nell’ambientazione nella Sicilia del 1700 che ricorda vagamente nelle sue atmosfere fastose e nello stesso tempo sordide, i romanzi ‘Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa e più alla lontana “I Malavoglia” di Verga. La scrittrice ha svolto un’ampia ricerca tra manoscritti e libri e si è ispirata ad una vicenda realmente accaduta di una sua antenata. Marianna, nobile sordomuta, viene spinta dal padre, da bambina ad assistere ad una impiccagione, nel tentativo, non riuscito, di farla parlare. Costretta, a tredici anni al fidanzamento e al matrimonio, con un vecchio zio, Pietro Ucrìa, va a vivere in una villa sperduta nell’assolata campagna siciliana, a Bagheria; comunica a fatica, scrivendo bigliettini, col marito: coi parenti e con la servitù. Fecero otto figli, di cui cinque vivi e tre morti, Marianna alleva i suoi figli e le sue figlie con amorosa dedizione, attenta alla  loro crescita mentale e psicologica: Manina, Felice, Giuseppa, Mariano e Signoretto il più piccolo ed il prediletto. Ma il piccolo Signo¬retto muore a pochi anni di età di vaiolo, nato prematuro, sempre allegro e intelligente, voleva stare solo in braccio a sua madre, la mordeva, la stringeva, le parlava, noncurante della sua sordità e Marianna, chiusa in una terribile disperazione, tenta disperatamente di salvarlo. Rimane vedova e a quarant’anni vive la sua vera storia d’amore con il bel Saro. Durante una malattia, in delirio, scopre il terribile segreto della propria infanzia che l’ha condotta al mutismo, che è stato suo padre, involontariamente, a rinchiuderla nel mondo del silenzio. Cosi gradualmente, dopo le esperienze atroci e umilianti della giovinezza, si trasforma in una donna libera e consapevole. Decide di partire da Palermo per Napoli e per Roma, su un vascello, con Fila, una sua serva, per cercare di dimenticare l’amore per Saro, la perdita dei figlioletto Signoretto, il marito-zio. Al termine di un viaggio tempestoso, arriva a Gaeta e poi a Roma e lì cerca di dare un corso diverso alla sua vita e non sa se ritornare in Sicilia, a Bagheria, dai figli, da Saro o rimanere a Roma. Osserva il fiume Tevere, le sue acque giallognole che scorrono e vorrebbe entrare nell’acqua con i piedi, con le ginocchia, con il petto, con la gola ma la voglia di vivere è più forte. Marianna guarda le acque e interroga i suoi silenzi. Ma la risposta che ne riceve è una domanda. Ed è muta. Il libro è scorrevole, di facile lettura anche so scritto in una forma letteraria particolare e forse adatto più ad un pubblico femminile.

Dacia Marani, nasce a Fiesole (Firenze) nel 1936 da una antica famiglia siciliana appartenente alla famiglia degli Alliata di Salaparuta, dalla madre Topazia e dal padre Fosco Maraini, etnologo e scrittore. Ebbe una infanzia assai difficile perché fu internata nel campo di concentramento dal 1943 al 1946, con i genitori e le sorelle Yuki e Toni, in Giappone, perché la famiglia Maraini si era rifiutata di riconoscere ufficialmente il governo militare giapponese. Soffrì di atroci privazioni e sofferenze che per fortuna finirono con l’arrivo degli americani. Ebbe una lunghissima relazione con Alberto Moravia, uno dei più grandi scrittori del Novecento, con cui visse dal 1962 al 1983, accompagnandolo nei suoi viaggi intorno al mondo. Fonda una rivista Tempo di letteratura insieme con altri giovani e collabora con altre riviste.
Fonte: La Voce del Sordoparlante, Brescia, 2005.

Opera: La lunga vita di Mariana Ucrìa. Autrice Dacia Maraini. Nelle migliori librerie. rc045 (2005)

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