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Storia del sordo Lanfranco, detto Capino (Newsletter della Storia dei Sordi n.764 del 31 dicembre 2009)

Storia del sordo Lanfranco, detto “Capino”. Primogenito della famiglia Del Conte-Caverni da Quintilio Del Conte e Sestilia Caverni, Lanfranco, soprannominato “Capino”, nacque nel 1911 ad Artimino, località del Comune di Carmignano (Prato). Dopo di lui nacquero due sue sorelle, Clara (udente), nel 1912, e Maria (sorda), nel 1916.

Lanfranco era sordomuto dalla nascita e fu avviato per breve tempo (due anni) all’Istituto Nazionale Sordomuti di Firenze, ma poi fu ritirato dalla scuola col pretesto fosse di salute cagionevole, ma presumibilmente perché era l’unico figlio maschio della famiglia e sua madre era rimasta “vedova di guerra” (1^ guerra mondiale).

Così Lanfranco-Capino crebbe senza istruzione scolastica, ma diede grande sostegno e aiuto alla sua famiglia: curando l’orto e sbrigando altri lavori di casa. Essendo per natura curioso, fu autodidatta nell’apprendere a leggere, a scrivere e a far di conto, ma rimase, per tutti i suoi compaesani, il “povero muto assoluto”, poiché lui, per comunicare col prossimo, utilizzava dei “gesti convenzionali”, un poco appresi nei due anni in cui aveva frequentato l’Istituto Sordomuti., un po’ ideati da lui stesso.

Egli, si era appassionato ai lavori di ceramica artistica, mestiere tradizionale al suo tempo, e in quei lavori espresse notevole talento e lavorò al forno di ceramica – un lavoro faticoso e paziente – presso l’azienda Fratelli Bitossi di Montelupo Fiorentino, dove lavorò per circa 40 anni.

In seguito agli eventi bellici del 1943-1944, i tedeschi in progressiva ritirata, catturavano i giovani maschi per esigenze militari e capitò che anche Capino fosse catturato. Sua madre si era opposta piangendo disperatamente e supplicando: “…è sordomuto e non parla e non capisce quello che si dice”. Capino era sempre vissuto in famiglia e nel paese di Montelupo Fiorentino, non era mai stato fuori di quella località. Ma niente da fare! L’ufficiale tedesco affermò che gli serviva quell’uomo con il “fisico robusto e non come voce”. Così egli partì con la carovana dei camion militari e con gli altri maschi catturati. E di lui non si seppe più nulla. Sua madre non sapeva rassegnarsi, poi fu creduto disperso, forse morto. Ogni giorno, la madre piangeva e pregava la Madonna, pensando al suo “Capino” e a come poteva essere finito.

Un giorno, dopo la Liberazione e la fine della guerra, mentre la donna stava sulla strada con le due figlie, Clara e Maria, lavorando alla intrecciatura  della paglia per fare cappelli di paglia, molto conosciuti nella zona di Valdarno Superiore (il tratto tra Empoli e Lastra a Signa), improvvisamente arrivò un camion militare USA che riportava in paese gli uomini appena liberati dai campi di reclusione tedeschi e, fra la commozione della signora e delle sue figlie, videro che c’era anche il Capino, che si è ritrovato davanti a sua madre.

Fu un momento di incredibile stupore, non lo credevano ancora vivo e sano, appariva come miracolato. Si abbracciarono con gioia e commozione, pure con le sue sorelle. Per tutto il periodo di prigionia, Capino era stato impiegato ai. lavori forzati, come la ricostruzione dei binari bombardati dagli alleati per far passare le artigliere tedesche e i soldati durante il trasporto ferroviario per uso militare, ma lui, col suo linguaggio più ardito e sicuro, affermò che “a parte la fatica, si mangiava bene”. Poi Capino riprese il suo mestiere con la ceramica. Nel 1955 si è sposato con una sorda d’Istria, Stanislava Bellasich, non ebbero figli, ma fu un’unione davvero felice. La moglie di Capino morì improvvisamente a 71 anni, nel 1988, durante il sonno accanto a lui, mentre si trovavano a Santa Maria a Ripa nel Comune di Empoli (FI).  Capino è  vissuto fino al 1993 quando pure lui è morto, a 82 anni.

Di lui sono conservati gli oggetti di ceramica della sua arte e del suo mestiere.

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 Newsletter della Storia dei Sordi n.764 del 31 dicembre 2009

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