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Il 113, il numero d’emergenza della Polizia di Stato, compie quarant’anni (Newsletter della Storia dei Sordi n. 476 del 21 aprile 2008)

Il 113, il numero d’emergenza della Polizia di Stato, compie quarant’anni. Uno squillo per salvare una vita La sicurezza corre sul filo.
«113 pronto!». La giovane agente in camice bianco risponde con rapidità. Accanto a lei altri uomini e donne della polizia di Stato davanti alle consolle ripetono gli stessi gesti. Rispondono senza sosta alle migliaia di chiamate che ogni giorno arrivano alle centrali d’emergenza delle questure d’Italia.

Da quarant’anni il 113 è sinonimo di sicurezza, di richieste di aiuto. E da quel dicembre 1968 molta strada è stata fatta. Milioni le chiamate ogni anno. In campo tecnologico con strumenti e attrezzature d’avanguardia: oggi il 113 è anche on line, sul sito www.poliziadistato.it.
Progressi anche sul piano umano. Sì, perché il 113 non è solo un centralino dove ci si rivolge per chiedere aiuto quando si è vittima di reati, ma anche per avere assistenza. Di ogni genere. E la polizia in questi quarant’anni in «linea con la gente» ha imparato a capire e conoscere le esigenze dei cittadini che si rivolgono a lei.
Il 113, numero cabalistico di soccorso, ha avuto come precursore il «777» istituito alla questura di Milano in via sperimentale. Così in città arrivarono anche le «pantere». I felini grigio verdi si aggiravano nella Milano della Banda delle tute blu che seminava il terrore nel capoluogo meneghino e ispirò celebri film negli anni settanta. Poi arrivò il ’68 con la rivoluzione di piazza e il 113 che prendeva vita nel Lazio e nell’Umbria prima e poi dilagava in tutta la Penisola.
Centralini vecchio stampo con i cavetti che venivano infilati nei buchi del quadro di risposta. Fili colorati che si attorcigliavano e pochi operatori che ricevevano le richieste dei cittadini. In quegli anni per iniziativa dell’allora capo della Polizia Vicari vennero installate le colonnine 113 lungo le strade. «Una delle idee più valide» ricorda il prefetto Porpora nel libro sul «113» scritto da Roberto Sgalla e Annibale Paloscia.
Negli anni molto è cambiato. Le sale operative sono divenute «Cot», Centro operativo di telecomunicazioni, e la tecnologia ha dilagato. Ma il poliziotto è rimasto sempre l’anima del «centralino». Gli operatori del 113 sono divenuti sempre più specializzati. In grado di capire e intepretare le emozioni di coloro che chiamano. E il 113 ha aperto linee dedicati agli anziani, ai problemi della droga. Ai bambini. Poliziotti e psicologi allo stesso tempo così da favorire al meglio l’intervento. Telefona l’anziana che ha necessità di comprare una medicina e prima di avventurarsi nella notte chiama il 113 per sapere quale farmacia è aperta nel suo quartiere. Tante le telefonate per rumori sospetti e per segnalare «strani movimenti nella via». Verso sera chiama anche una ragazza, sola e depressa che cerca solo un po’ di compagnia. Lo stesso nella canicola estiva, anziani spaventati dalla loro solitudine.
Al 113 chiamano anche i sordomuti grazie al Dst, un sistema che facilita la comunicazione anche ai non udenti. E loro, i poliziotti sempre lì, 24 ore su 24, tutto l’anno pronti a raccogliere le richieste d’aiuto. E in strada le «pantere» hanno cambiato livrea: ora azzurre corrono su indicazione degli operatori per dare sicurezza e aiuto ai cittadini.

Autore: Maurizio Piccirilli
m.piccirilli@iltempo.it Fonte: il tempo.it  – nw476


Newsletter della Storia dei Sordi n. 476 del  21 aprile 2008

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