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Come creare un docente bilingue per una didattica per studenti sordi nei diversi ordini di scuola

Relazione del Prof. Renato Pigliacampo, Università di Macerata nel Convegno sul tema «Bilinguismo, Oralismo, LIS – Unica  Identità Sorda», organizzato dalla Sezione Provinciale Ens di Treviso, 16 ottobre 2010.

COME ‘CREARE’ UN DOCENTE BILINGUE PER UNA DIDATTICA PER STUDENTI SORDI NEI DIVERSI ORDINI DI SCUOLA

Sono contento di essere a questo Convegno. Il tema scelto dagli Organizzatori è molto intelligente e attuale. Mi complimento col Presidente Righetto e il suo Consiglio Provinciale. Si parla molto di LIS, di insegnati di sostegno (chiamiamoli pure così), dei tanti Operatori che girano attorno al bambino sordo, ma pochi di un «docente bilingue», vale a dire di un professionista che sappia effettivamente insegnare le discipline, intendo dire: la matematica, la lingua italiana, le scienze e le cosiddette “materie letterarie”. È molto difficile insegnare ai sordi, ma ci sostiene una riflessione del maestro Vischi, istruttore del sordo Giacomo Carbonieri che, a cavallo del XIX secolo, ammetteva. “… il sordo ha bisogno del latte della cultura” (cfr. R. Pigliacampo, Giacomo Carbonieri. Psicolinguista sordomuto del XIX secolo, Edizioni Cantagalli, Siena 2000). In questi ultimi decenni – e precisamente dopo l’apertura delle scuole pubbliche ai cosiddetti handicappati, a  partire dal 1977 – con la L. 517/1977, si è ‘considerata’ la sordità come una realtà da poter affrontare nella classe delle scuole comuni, a contatto con i coetanei udenti. Il sordo è stato visto, non più alunno necessario di una didattica specializzata, bensì soggetto che bisognava ri-abilitare purché fosse inserito nella classe comune. Iniziò l’iter – ancora irrisolto – per una scuola integrata. Ma di che? Si parlò, a quel tempo di “inserimento selvaggio”, poi di socializzazione (per il fatto che i ragazzi stavano nella stessa classe), poi di integrazione e inclusione infine. Questa ricerca di rendere l’altro (il cosiddetto diverso) alla stregua del bambino normodotato allontanava lo sforzo di valenti docenti alla soluzione di problematiche didattiche considerando la specificità della disabilità. Il termine coniato «handicappato»  finiva per mettere tutti gli alunni, con  deficit sensoriali e/o psicofisici, sullo stesso piano. Oggi ci sono 95 mila cosiddetti «insegnanti di sostegno» nel nostro Paese: è arduo trovarne 100, affermava il direttore generale del MIUR della Lombardia, Martinelli, capaci di saper fornire un processo d’insegnamento adeguato secondo le esigenze degli alunni o studenti con problemi d’udito.

La percezione
I bambini sordi e/o ipoacusici devono essere “esaminati” nel contesto dell’ambiente e delle strutture scolastiche, dei docenti, dell’intrinseca realtà di valutarne i processi di apprendimento, le potenzialità psicocognitive, ma soprattutto il processo di percezione nella modalità  visuo-manuale. (cfr. R. Pigliacampo, Parole nel movimento. Psicolinguistica del sordo, Armando, Roma 2008). Le mani creano il «codice» e gli occhi «ascoltano».  La psicologia dell’età evolutiva (v. J. Piaget) ci conduce a conoscere lo sviluppo infantile, quel meraviglioso mondo di relazioni umane in cui la mamma è protagonista (cfr L. Camaioni, La prima infanzia, il Mulino, Bologna 1980) insieme al figlio, caratteristica interrelazionale indicata «linguaggio maternale».

La prima domanda alla quale dobbiamo rispondere è: Come educare il bambino sordo? La storia e lo studio dell’educazione dei sordi ci dicono che, secondo i periodi storici, il piccolo sordo è stato alla mercé degli altri, degli educatori. In tuta la penisola, in ogni Regione primeggiano i suoi «Istituti per sordomuti». Io stesso sono un allievo delle scuole specializzate, più tardi – a cavallo degli anni Settanta del secolo scorso –  saranno vituperate, condannate a dismisura. Oggi, con le nuove protesi acustiche, con gli impianti cocleari (i.c.), si è  fatto un gran passo avanti per curare la sordità, meglio definire estirpare dal pianeta  questa disabilità. Gli otochirurghi si danno un gran daffare per impiantare, il loro obiettivo è «curare» il deficit. Non può che essere così. Per raggiungere tale obiettivo si coalizzano con la logopedista, la quale diventa il loro braccio destro nel percorso di recupero.  Di fatto, questi due specialisti, sposano la fenomenologia della sordità sul livello prettamente medico e, per vincerla, chiedono l’ausilio della tecnologia, dell’informatica.
Abbiamo cercato di sintetizzare il tutto per mezzo di quadri sinottici.

Quadro 1: Anche il bambino con i.c. non potrà percorrere lo stesso percorso del coetaneo udente perché il processo psicocognitivo è limitato nell’interazione con gli altri sia tra i pari sia con gli adulti che predispongono le basi del «dialogo» con la lingua madre? Riflessione: quale «lingua madre» prevale nel sordo impiantato nell’infanzia? Domande che danno origine ad un dibattito multidisciplinare interessantissimo coinvolgendo diversi professionisti.



Quadro 2
. Il metodo montessoriano in schemi visivi.

Nel 1880 ci fu il famoso congresso di Milano. Il deus machina di quel congresso, che mosse i massimi educatori dei sordi del mondo, fu Mons. Giulio Tarra. Il tema incentrato era come programmare l’educazione dei sordi. Ne sortì un Documento che riportava « (…) noi dobbiamo riportare le nostre sentinelle avanzate, qui dove dobbiamo essere severi, esclusivi, intransigenti… ». Sono le stesse parole che, un secolo dopo, troveremo in bocca alle logopediste nei confronti dei docenti ‘transitati’ dalle scuole speciali alle scuole comuni, azzardando talvolta – con i propri allievi – l’utilizzo dei «segni». La verità era un’altra: e Mons. Tarra la manifesta nelle parole che applicare il metodo orale significa accedere ai «benefici morali (…) e soprattutto quello di essere più conveniente per l’istruzione religiosa… ». Alludendo poi che vi sarà «disordine (…) nella mente del sordomuto se apprese la religione con un sistema di gesti». Siamo davanti all’antico pregiudizio religioso di San Paolo, fides ex auditu. Tarra ed altri educatori “pensavano” per i sordi. Lasciamo stare, per ora, il metodo orale che, secondo alcuni studiosi, bloccò sino alla fine del XX secolo l’istruzione dei sordi con metodi più appropriati alla loro percezione sensoriale.

Nel passaggio degli alunni e/o studenti dalla frequenza nelle scuole speciali alle scuole comuni, la maggior parte dei “nuovi docenti”, diplomati di fretta nei corsi postlaurea delle università, non avevano conoscenza di nessun  «metodo». Hanno insegnato e/o insegnano, molti di loro, secondo una metodologia tipica d’insegnamento come se fossero udenti. Qualcuno di essi, con studi o tesi di laurea sul metodo Montessori, vennero a capo che l’intervento didattico e educativo dovevano adeguarsi ai processi percettivi e di memorizzazione propria. Riflessione che aprì alla verifica se, per l’istruzione dei sordi e degli ipoacusici, occorreva proporre una nuova didattica, oppure…

Quadro 3Ascoltare e un processo che valica il semplice sentire: quello compie un tragitto di verifica e di analisi cognitivi, questi resta ancorato al senso.

I docenti oggi si propongono di utilizzare una proposta didattica che consideri i processi di apprendimento della peculiarità del senso superiore (la vista). E’ evidente affermare che tutto avviene per mezzo della vista nel bambino sordo (R. Pigliacampo, 1996, 2008), la quale si fa carico dei processi cognitivi ed emozionali.   Nel Quadro 3 è esplicito il percorso della sensazione visiva che ‘accende’ l’emozione. I docenti che vogliono divenire utili, cioè effettivamente «specializzati» devono essere educati alla visività.

Quadro 4La progettazione didattica, per  i sordi o gli ipoacusici, deve tener conto della peculiarità percettiva, obbligando l’insegnante specializzato (e proprio per questo non sarà più definito di mero “sostegno”) a conseguire vaste conoscenze neuro-psico-pedagogiche.

Quadro 5. L’insegnante deve conoscere il «mondo dei sordi» per poter elaborarne una cultura efficace.

W. Belardi (1992) fa notare che noi, sotto l’influenza della dottrina di Croce, diamo troppa importanza alle parti del discorso e alla grammatica che lo controlla. Studi ripresi poi da M. Lucidi negli anni Quaranta che lo portò a coniare l’iposema che può essere considerata una realtà o intenzione della parola. Di fatto siamo davanti al mondo della creazione del codice. Scoperta che fa anche O. Sacks, tardiva ma esplicita nell’isoletta dell’Oceano Pacifico dove, i sordi, erano   numerosi e avevamo ‘imposto’ la lingua dei segni agli udenti, costoro la utilizzavano in modo efficace. Ci troviamo pertanto dinanzi ad una Cultura che l’insegnante specializzato deve far sua – non dico da sordo ma almeno nelle relazioni con l’ambiente dei sordi. Se la lingua è cultura, diventa fuorviante che un docente udente sia consenziente alla lingua dei segni senza apprenderla, o valutarla nei processi psicocognitivi. Se la didattica specializzata non è sostenuta dagli studi e letture di N. Chomsky, J. PiagetH. G. Furth, F. Grosjean e altri restiamo allo status quo, quello psittacismo deteriore che non ci porta  da nessuna parte. Meglio promuovere scelte appropriare di docenti sordi.

Quadro 6. L’educazione dei sordi ci dice che due metodi sono stati sempre in opposizione: il metodo orale e il metodo mimico-gestuale.  Oggi c’è un metodo per insegnare ai sordi?

Conclusione di un «Prof» a metà

La preparazione didattica per il sordo o l’ipoacusico implica un procedimento che obbliga il docente ad adottare un’idonea didattica visiva sostenuta da una metodologia per permettere, nell’alunno, i processi di memorizzazione. Certo il «bilinguismo didattico», che ho denominato anche «coscienziale» (R. Pigliacampo, 2007) è adottare due lingue in un contesto propriamente didattico. Questo obbliga l’insegnante specializzato d’insegnare in due lingue con due didattiche, saperle bilanciare per un processo di apprendimento specifico dell’alunno sordo.  La qualità di questo docente si struttura su tre obiettivi principali:
– identificazione linguistico-culturale del  sordo e/o ipoacusico conosciuta sia a livello di cognizione  che di lingua del docente bilingue;
– insegnare con due lingue che tuttavia obbliga l’insegnante specializzato a privilegiare la lingua viuomanuale;
– l’utilizzo di strumenti e tecnologie computerizzate, in cui sia privilegiato l’acquisizione dei Saperi secondo un’abilità di competenze della disciplina insegnata portando il docente a  riconsiderare le nozioni ex-novo, costringendolo a predisporre il  PEI non solo personalizzato ma rielaborato per i bisogni  percettivi e cognitivi, diviso per/su ciascuna materia insegnata. Sono convinto che, un domani, gli studenti – e non solo i sordi – si gioveranno assai di un insegnamento bilingue, di una didattica strutturata sul bilinguismo perché sospinge la mente del bambino ad andare oltre, superando  la mera conoscenza psittacistica.

Renato Pigliacamposp030  (2012)

Bibliografia essenziale

R. Pigliacampo, Nuovo dizionario della disabilità, dell’handicap e della riabilitazione, Armando, Roma 2009.
R. Pigliacampo, Sociopsicopedagogia del bambino sordo. Una risposta protagonistica, Quattro Venti, Urbino  1991.
R. Pigliacampo, Il genio negato. Giacomo carbonieri psicolinguista sordomuto del XIX secolo, Edizioni Cantagalli, Siena 2000.
R. Pigliacampo, Lettera a una logopedista. Dalla parte del bambino sordo, Edizioni Kappa, Roma 1996.
R. Pigliacampo, Lo Stato e la diversità. Asppetti dell’inserimento dei sordi gravi nella scuola dell’obbligo, Armando, Roma 1983.
R. Pigliacampo, Handicappati e pregiudizi: assistenza-lavoro-sessualità, Armando, Roma 1994.
Scuola di Silenzio, Lettera ad una Ministro (e dintorni), Armando, Roma 2005.
R. Pigliacampo, «I neuroni specchio e il protolinguaggio visivo-manuale», da Annuali della Facoltà di Scienze della Formazione, 3, 2006, Edizioni Eum, Università di Macerata 2008.
R. Pigliacampo, Parole nel movimento. Psicolinguistica del sordo, Armando, Roma 2007.
H.G. Furth, Pensiero senza linguaggio, Armando, Roma 1986.
O. Sacks, Vedere voci, Adelphi, Milano 2000.
V. Volterra (a cura di), La lingua dei segni italiana. La comunicazione visivo-gestuale dei sordi, il Mulino, Bologna 2004.
R. Cavalieri, D. Chiricò, Parlare, segnare. Introduzione alla fisiologia e alla patologia delle lingue verbali e dei segni, il Mulino, Bologna 2005


INFO:

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